Si torna a discutere dei concorsi in magistratura. Tanti sono i giovani pronti ad affrontare la sfida, desiderosi di realizzare le proprie ambizioni professionali. Le modalità di selezione, però, non possono non risentire delle esigenze di rigore imposte dalla delicatezza dell’impegno, che ha a che fare con la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.
Che le nomine dei magistrati debbano avvenire per pubblico concorso lo stabilisce la Costituzione all’art. 106.
Le procedure sono state da ultimo ritoccate con la l. n. 71 del 2022, che ha previsto, tra le principali novità, l’accesso al concorso con la sola laurea in giurisprudenza, senza necessità di titoli e/o esperienze pregresse; l’accesso al tirocinio presso autorità giudiziarie (procure, tribunali, corti) già dopo il superamento dell’ultimo esame di laurea; l’organizzazione dei corsi della SSM anche in sedi decentrate, con possibilità d’accesso per tirocinanti e soggetti dell’ufficio del processo; la trattazione nelle prove scritte del concorso anche di questioni riguardanti l’Unione europea, e le valutazioni su attitudini ad inquadramento teorico-sistemico dei singoli candidati; la riduzione delle materie orali e il colloquio in lingua straniera.
Lo spirito della riforma sembra quello di agevolare l’accesso alla professione, con tutta probabilità nella prospettiva di implementare il numero dei magistrati, attualmente vistosamente sotto organico, in tutte le sedi giudiziarie italiane. Per altro verso, pare sottesa anche l’idea che il neo laureato abbia maggiore freschezza intellettuale rispetto a chi ha lasciato gli studi universitari da anni.
Ma la volontà e l’intraprendenza non possono certo supplire alla mancanza di esperienza.
Alle esigenze di ristrutturazione della giustizia non si risponde senza la giusta attenzione per competenza e merito dei candidati, che non devono essere selezionati sulla base della mera conoscenza delle leggi e dei precedenti, ma devono saper dimostrare di possedere una sensibilità più ampia, derivante in primis dall’esperienza maturata sul campo, almeno, nell’esercizio della professione legale.
Per questo Meritocrazia Italia insiste da sempre per la revisione dei percorsi di studio universitari, che non si limitino alla didattica frontale tradizionale, pure fondamentale, ma allenino alla pratica aprendo un dialogo con il mondo delle professioni e favorendo il confronto con attività pratiche.
Per altro verso, l’accesso al concorso dovrebbe necessariamente tener conto del percorso individuale e del profitto riportato, con la previsione dello svolgimento di almeno 10 anni di professione legale come requisito di ammissione alle prove concorsuali. Per svolgere al meglio l’incarico, sono fondamentali competenze e conoscenze tecniche che solo l’esercizio sul campo, soltanto l’esperienza può dare.
Stop war.
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Fonte: Concorso in magistratura: 10 anni di professione legale come requisito di accesso