Tam Tak-chi, dj e attivista pro-democrazia di Hong Kong, è stato condannato a quaranta mesi di carcere dopo essere stato riconosciuto colpevole lo scorso mese di aver fomentato le proteste nella città e di altri crimini. È la prima persona a essere processata per sedizione da quando nel 1997 l’ex colonia britannica è passata sotto la sovranità della Repubblica popolare cinese.
L’attivista è stato condannato secondo una legge risalente agli anni Trenta e non più utilizzata a partire dagli anni Settanta, che negli ultimi tempi è stata recuperata dal regime cinese per contrastare il dissenso. Tam, ritenuto colpevole di undici capi d’accusa su quattordici – tra cui condotta disordinata, discorsi sediziosi e convocazione di un’assemblea non autorizzata –, sarebbe stato criminalizzato per aver manifestato con un cartello con lo slogan “Liberate Hong Kong, è la rivoluzione dei nostri tempi” durante le proteste che hanno scosso il Paese nel 2020.
Quanto accaduto è l’ennesima conferma delle denunce degli attivisti per i diritti umani, per i quali la libertà di espressione e di fare informazione sono ormai un’utopia a Hong Kong. Esprimere un’opinione non approvata dal governo di Beijing è sempre più spesso una scommessa che si paga con la persecuzione e il carcere, in particolare dall’entrata in vigore nel giugno 2020 della Legge sulla sicurezza nazionale.
Fonte The Vision