Manca solo Mario Draghi. Ma il suo è il nome più citato e da tutti. Se non si fosse dimesso, sarebbe stato probabilmente lui la guest star della assemblea generale di Confindustria Vicenza, l’evento economico-politico top in città e in provincia che si è celebrato quest’anno nelle officine di Trenitalia nella Z.I., in contiguità del quartiere dei Ferrovieri che, nel prossimo decennio, sarà il cantiere perenne dell’AV/AC.
“Lavoro Futuro Italia” è il titolo dato alla convention del settore produttivo più importante della provincia, terzo in Italia dopo Milano e Torino per il valore dell’export (11 miliardi e 786 milioni di euro). Lo slogan è attrattivo e promettente, la realtà molto meno tant’è che ci sarebbe un’altra parola da aggiungere ma che circola in platea e sul palco: paura. Paura di non farcela da soli, paura di non avere un nuovo governo stabile, paura dei rincari dell’energia, paura di non essere competitivi sui mercati internazionali e altre paure ancora, a comporre un futuro di incertezze e di incognite.
Sarà per avere risposte e conforto a questa somma di timori, sarà per la consistente partecipazione di leader politici in missione preelettorale, sarà perché riunire in questo momento gli stati generali della categoria significa mal comune mezzo gaudio, per tutto ciò arrivano in 1.300 nei maxicapannoni di Trenitalia ed è record di presenze. Industriali che creano una bella fetta del PIL e che rappresentano la maggior parte del reddito prodotto in questa provincia.
La location è suggestiva. Le rimesse sono lunghe quanto due campi di calcio, una metà della larghezza ospita palco e platea, nell’altra campeggiano i FrecciaRossa in manutenzione. All’interno non ci sono posteggi sufficienti per tutti, l’accesso da via dell’Arsenale è bloccato, i lati di viale dell’Industria diventano parcheggio selvaggio.
La zona congresso è sobria, il fondale del palco è un maxischermo, il colore prevalente delle proiezioni è l’azzurro degradante al blu. Un paio di big screen sono sospesi alle travature del soffitto, l’amplificazione sonora è perfetta, l’unico problema è il caldo, un po’ per il clima tardo estivo un po’ per tanta umanità concentrata.
L’analisi antropologica non dà sorprese. Prevalenza maschile ma consistente la quota rosa, abbigliamento formale per gli uomini per lo più in completo blu o fumo di Londra, le signore invece non presentano un look uniforme, si va dal jeans e camicia di seta al vestitino da lavoro. Si vedono perfino un paio di abiti lunghi da party portati con tacco 15, che non c’entrano proprio niente. Nei toni scuri della prima fila spicca un bianco che “stacca”. Chi è? Da dietro sembra John Lennon nella famosa foto dei Beatles sulle strisce pedonali di Abbey Road: giacca-pantalone all white, capello lungo castano-biondo. Il presunto sosia si gira e si scopre che, in realtà, è l’assessore regionale Elena Donazzan.
Gli industriali più giovani, per lo più seduti nelle file dietro a quelle del settore VIP, sono meno formali. Prevalgono gli spezzati, la cravatta nemmeno per sbaglio, molti ostentano una caviglia nuda molto trendy. Sono la seconda e la terza generazione dell’imprenditoria locale, quelli che hanno studiato e – a differenza di padri e nonni – non pensano solo al lavoro. È la generazione dei SUV, sulle cui spalle ricade quella terza parola del titolo dell’assemblea: futuro.
La presidentessa Laura Dalla Vecchia è in completo blu notte, i revers della giacca sono tipo smoking. Chiamati a condurre le fasi della scaletta, il direttore del Foglio opta per l’abbinata blue jeans-giacca, quelli del Giornale di Vicenza e di Tva scelgono il blu e la cravatta.
I politici ospiti ripropongono anche nell’occasione gli outfit che i loro image maker hanno scelto per la campagna elettorale. Letta ha il solito anonimo spezzato con cravatta, Calenda mitiga appena con una giacca blu l’abbigliamento da manager nel fine settimana, Urso azzarda un denim sotto giacca e cravatta, il sottosegretario Freni in completo grigio. Zaia ha il solito completino asciutto con la cravatta stretta, Bonaccini se l’è dimenticata a Bologna.
La società vicentina è, come sempre, ben rappresentata. In prima fila ci sono tutte o quasi le “autorità politiche, civili e religiose” come le definisce Dalla Vecchia nel suo saluto. Fra i parlamentari spicca Daniela Sbrollini maestra delle PR, il Governo non è rappresentato dal ministro vicentino Erika Stefani, stranamente assente. Il sindaco Rucco guida un gruppetto di assessori: Celebron, Zocca, Giovine.
Il pubblico è attento e composto, non si lascia andare nè ad entusiasmi né a critiche ad alta voce. L’applausometro premia Calenda, che merita ben cinque interruzioni con applauso (reddito di cittadinanza, energia, salari) mentre Zaia ne incassa solo due (“abbiamo la presunzione di poter far meglio di Roma” e “la colpa è della mala gestio non dell’autonomia), come Urso. Letta si ferma appena a uno, quando rivendica di aver sostenuto fino all’ultimo Draghi.
La relazione di Dalla Vecchia dura tre quarti d’ora, otto cartelle lette sul “gobbo” (qui il suo intervento ndr). Ci sono anche per lei cinque break con applauso, ma gioca in casa e quindi non entra in classifica. L’applauso finale, però, raggiunge appena i 37 secondi e non è nemmeno scrosciante. Delusione degli iscritti o l’angoscia dei contenuti semi-catastrofici ha raggelato la platea?
Raccogliendo i pareri degli industriali, prima e dopo l’assemblea, si propende per la prevalenza del pessimismo. Le promesse e le proposte dei politici non hanno convinto. La sfiducia è nel sistema, nei leader dei partiti o nei tanti fattori internazionali non controllabili? Probabilmente in tutti. Ne scaturisce una richiesta, ben più forte che in passato, di aiuti, sostegni e provvidenze, in nome della centralità dell’impresa nell’economia nazionale. Sarebbe auspicabile anche un po’ di autocritica da parte della categoria, sarebbe interessante valutare qualche proposta di Confindustria, sarebbe il caso di dire apertamente da che parte stare in futuro. Ma questi contenuti non arrivano o sono solo accennati.
Per chi voteranno gli industriali il 25 settembre? Per un Governo stabile, è la risposta generale. E quindi, parrebbe, per la coalizione di Destra e per Meloni primo ministro. Calenda piace ma non garantisce stabilità, potrebbe avere successo in Veneto come alle Europee ma la sua ribadita fedeltà a Draghi e alla sua agenda ha appena ricevuto una mazzata dal no del premier a una a nuova disponibilità a guidare il Governo. E poi la linea Calenda (“date tanti voti a noi per indebolire la Destra”) è proprio il contrario della saldezza che vogliono gli industriali.
L’assemblea generale di Confindustria Vicenza si chiude senza ottimismo. La gente comincia a sfollare già quando ha appena cominciato a parlare Letta. Per l’ora di cena che si approssima o per poco interesse verso il candidato top del PD a Vicenza?
All’esterno, l’unica presenza in dissenso è quella di Usb Lavoro Privato Veneto, relegata molto lontano, in viale Sant’Agostino. “Non pagheremo la vostra crisi! Non finanzieremo la vostra guerra” proclama il loro volantino, che prosegue: “la convention è stata l’occasione per gli industriali di dettare le proprie linee guida ai futuri governanti: più finanziamenti pubblici per il capitale privato, liberalizzazione del mercato del lavoro e tagli agli ammortizzatori sociali per rendere più ricattabili i lavoratori. La Ricetta che ci propinano è sempre la stessa: socializzare i costi delle crisi economiche per massimizzare i profitti privati; anche attraverso il business delle grandi opere insensate e devastanti come il TAV”. Lo slogan in calce (“è l’ora: potere a chi lavora”) sembra tanto retro.