Gli storici francesi hanno la penna per il dettaglio. Ricordo di averlo sentito dire dal professore di storia moderna – del quale ahimè non ricordo il nome – ai tempi dell’università. Nei primi Anni ‘70 frequentavo la facoltà di Scienze politiche a Padova e tra gli esami da sostenere c’era anche il classico Dottrine dello Stato con Toni Negri e Ferrari Bravo. Un esame che è passato alla storia per il 27 politico, anche se io credo di aver preso 28 (e allora i conti non tornano).
Sta di fatto che nel piano di studio avevo inserito Storia moderna e che tra i libri d’esame vi era consigliato un libro di Fernand Braudel: “Capitalismo e civiltà materiale”. Per farla breve, quel libro così descrittivo e analitico sugli oggetti dei ricchi e le cose dei poveracci a cavallo del Sette- Ottocento, lo trovai interessante. La sintesi del suo pensiero scaturiva dall’osservazione della condizione umana di quei tempi, dai fatti e non dalle opinioni. E tant’è che quel libro d’università me lo conservo ancora accanto ad alcuni libri del filosofo vicentino Giuseppe Faggin (per quelli dei miei anni, storico insegnante di filosofia al liceo classico Pigafetta, ndr). Posti vicini, fanno péndant.
Ma perché Braudel? Non mi dilungo oltre e arrivo al punto. Navigando su Google – per errore o per destino – mi è uscito Braudel storico francese. A quel punto non potevo (non dovevo) fare altro che entrare nelle sue pagine. E scorrendo, mi son letto alcune parti del suo libro “Mediterraneo”. E sempre scorrendo sono giunto all’Atlantico, a quell’oceano che mi sta di fronte e che mi vigila.
Scrive ad un certo punto Fernand Braudel:
“E’ l’angusta apertura sull’oceano che salva il Mediterraneo. Immaginiamo che una diga chiuda lo stretto di Gibilterra: il Mediterraneo si trasformerebbe in un lago salmastro dove ogni genere di vita sarebbe destinato a scomparire…. Se l’apertura fosse molto più larga, sarebbe rinvigorito, animato dall’andare e venire delle maree, invaso dalla pullulante fauna oceanica; l’acqua diventerebbe torbida, il tepore dell’inverno svanirebbe”.
Ora sto vivendo due coincidenze, penso. Ritrovo la lettura di Braudel dopo quarant’anni e più e rivedo quella veduta sullo stretto di Gibilterra/ Geblatar che solo tre settimane fa avevo ammirato dall’alto del belvedere che sta alle porte di Tarifa. “Con il Marocco a vista d’occhio, lo Stretto si fa… ampio, illuminante, visionario, cosmopolita dinamico”, fantasticavo tra me e me. Ma questo pezzo di mare angusto, come dice in fondo Braudel nel suo Mediterraneo, non potrà mai essere interpretato e vissuto solo come una normale via d’acqua mercantile. Lo Stretto è qualcosa di più, è qualcos’altro, sempre e comunque.
Alla prossima puntata, qui tutte
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L’articolo Conil de la Frontera. Due mari, Gibilterra e lo storico Braudel: un racconto di Maurizio Mascarin, bloccato in Andalusia dal Coronavirus proviene da L’altra Vicenza.