Nuvolette bianche, quasi effimere, ironiche che s’intrecciano in un cielo azzurro incuranti, loro, del Coronavirus: stamane il cielo di Conil de la Frontera sembra un quadro di René Magritte. I cieli dell’Atlantico cambiano in fretta. Corrono. Sono mutevoli. Sanno sempre stupire. In stretta empatia con Eolo, quel dio del vento che qui nella Costa de la Luz non manca mai, sono cieli estesi, profondi. A volte palpabili, a volte no. Il gioco delle nuvole luminose non è solo da osservare. Eè da sentire, da ascoltare.
Ora mi sintonizzo con la Nuvoletta bianca (di Magritte) che staziona elegantemente sopra la mia testa, sopra il mio cielo.
Ascolto. Mi pongo in ascolto. Qualcuno, o Qualcosa, mi suggerisce, come in un pensiero rubato, che si tratta del “canone in re maggiore” di Joan Pachelbel.
Da un ascolto all’altro: “… E nell’assenza di gente che viveva in maniera pericolosa, la Terra incominciò a Guarire”. (cit. Kathleen O’Meara, 1869)
I cieli della costa andalusa, me ne rendo conto, non tradiscono mai. Nell’apparente vuoto di questi giorni chiusi in una stanza, mi sono di gran conforto.
A proposto di Magritte, “il saboteur tranquille che non ritrae il Reale ma che aspira a mostrarne il mistero indefinibile “, alla Fondazione Guggenheim di Venezia sono esposte due sue opere: “La voce dei venti” e “L’impero delle luci”. Credo di averle viste 4 o 5 anni fa, ma di fretta, senza soffermarmi a dovere. Ora, una volta terminata questa storia di pandemia, mi son promesso di ritornare a rivederle. Sarà come una prima volta, non una seconda. Perché prima del Coronavirus, direbbe Magritte, “noi abbiamo vissuto tutti di fronte ad un Falso Specchio”.
Alla prossima puntata, qui tutte
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(Qui la situazione ora per ora sul Coronavirus, qui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr)
L’articolo Conil de la Frontera, i cieli di Magritte: un racconto di Maurizio Mascarin, l’esule per Coronavirus proviene da L’altra Vicenza.