Consoli si fa interrogare dai pm De Bortoli e Cama: “Veneto Banca crollò per motivi reputazionali”. Bankitalia, se ci sei, batti un colpo!

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Veneto Banca, Vincenzo Consoli punta il dito
Veneto Banca, Vincenzo Consoli punta il dito

Vincenzo Consoli, già ad e dg di Veneto Banca, in attesa della decisone del Gip di Treviso per il suo eventuale rinvio a giudizio, stranamente unico tra gli indagati, per i reati di ostacolo alla vigilanza, aggiotaggio e falso in prospetto, oggi, come in passato, non si è sottratto al confronto ed ha chiesto di essere interrogato di nuovo dai pm Massimo De Bortoli e Gabriella Cama, alle cui domande ha risposto con l’assistenza dell’avv. Ermenegildo Costabile per “chiarire i fatti oggetto d’indagine, che coinvolgono complessi meccanismi aziendali“.

Torneremo domani sul fatto con alcune considerazioni, anche di confronto con la situazione che si sta delineando nel processo BPVi contro Gianni Zonin & c., ma riportiamo oggi quanto ha dichiarato alla stampa il legale milanese che si è detto convinto di aver “dimostrato quanto basta per far archiviare un’accusa che giudichiamo del tutto infondata: Vincenzo Consoli non ha mai inteso truffare nessuna persona che abbia investito in titoli della Banca, essendo stato sempre profondamente convinto della solidità dell’Istituto e, quindi, del valore del titolo“.

Il mio assistito non ha mai pensato – ci ha detto il difensore di Consoli – che il prezzo delle azioni Veneto Banca potesse subire l’andamento che poi in effetti ha subito, perché è sempre stato valutato secondo una precisa procedura che veniva avvalorata da esperti del settore e garantiva la corretta correlazione ai valori patrimoniali dell’istituto. Tanto era certo di ciò che ha investito la quasi totalità dei risparmi personali e della sua famiglia (circa 7 milioni di euro) in azioni e obbligazioni subordinate Veneto Banca, comperate (per 2 milioni di euro) anche nel corso del 2014, 2015 e 2016“.

Se nell’incolpazione è scritto che l’aver truffato gli azionisti sarebbe stato correlato alla volontà di realizzare un ingiusto profitto per Veneto Banca per l’avv. Costabile “Vincenzo Consoli ha evidenziato che anche questa ipotesi si scontra con le regole basilari dell’economia: l’obiettivo della banca di incrementare il proprio patrimonio attraverso l’aumento del capitale sociale, assecondando le richieste delle autorità di vigilanza, prescindeva dal prezzo stabilito per le azioni di nuova emissione: bastava emettere più azioni ad un prezzo minore. Non cambiava nulla per l’emittente. Ma ribassare il prezzo delle azioni di nuova emissione rispetto al valore che scaturiva dalle metodologie avrebbe pregiudicato gli interessi dei soci che erano già azionisti di Veneto Banca“.

Consoli, ha concluso Costabile, ha anche spiegato il progressivo  De : “le ragioni sono di tipo reputazionale e vanno individuate nella perdita di fiducia nei confronti della Banca e nella conseguenza fuga dei capitali“.

Perdita di fiducia che, lo scriviamo da tempo, inizia a fine 2013 quando Banca d’Italia evidenziò gli asseriti problemi di Veneto Banca e ne sentenziò la necessità di “darsi” a un “istituto di adeguato standing“, di fatto la BPVi, con un clamore ancora oggi da indagare e, quindi, capire e con motivazioni poi smentite anche dallo stress test della BCE a fine 2014.

La Banca Centrale Europea, infatti, nonostante la perdita di “reputazione” (e depositi) iniziata l’anno precedente per le dichiarazioni di Bankitalia, promosse la banca trevigiana e costrinse quella vicentina, nella notte del 25 ottobre 2014, ad un’affannosa conversione in azioni di 253 milioni di un prestito obbligazionario subordinato per rientrare nei paramenti della nuova vigilanza Europea.

La storia, ad oggi narrativamente (e giudiziariamente?) sbilanciata a favore di Zonin e contro Consoli con una assonanza da approfondire tra sistema finanziario, giudiziario e mediatico, è ancora tutta da (ri)scrivere, ma ormai forse solo nella nuova Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario più che nelle fredde e deserte aule dei tribunali, per giunta parziali per la visione non di insieme del due crac molto correlati, invece, fra di loro.

Ma una certezza sulla fine della storia già c’è: morirono entrambe le banche venete e con loro le aspettative e, spesso, i sogni di oltre 200.000 soci, la gran parte dei quali risparmiatori non tutelati da chi doveva vigilare su chi gestiva i loro soldi e, invece, immolati sull’altare di un disegno, poi miseramente fallito, ma chiaro anche se ancora da decifrare nella sue motivazioni: salvare il mondo di Zonin bruciando quello di Consoli.