Dopo il silenzio di ieri oggi l’ex premier Giuseppe Conte, con un banchetto all’aperto, forse perché è già stato ‘sfrattato’ dai suoi uffici a palazzo Chigi, o forse per dare un’idea di umiltà, ha parlato alla stampa della situazione politica attuale spiegando che non ostacolerà Draghi (“i sabotatori cerchiamoli altrove”), ma che auspica un “governo politico” perché le scelte da prendere per affrontare il Covid e usare il Recovery Fund devono essere “politiche e non affidate a squadre di tecnici”.
Poi Conte si è di fatto candidato a leader di una coalizione di centrosinistra a cui ha anche dato un nome: “alleanza per lo sviluppo sostenibile”, formata da M5S, PD e LEU. Ha parlato di un progetto politico “forte e concreto che aveva già iniziato a dare buoni frutti e che offre una prospettiva reale di modernizzare finalmente il nostro paese nel segno della transizione energetica, digitale e dell’inclusione sociale”. Certo, sono linee guida più che programmi e proposte di legge: non si parla di riforma fiscale, non si parla di riforma della giustizia, non si parla di riforma elettorale.
Però Conte ha parlato da federatore di un’allenza che potrebbe dare il suo appoggio a Draghi se l’ex presidente della BCE includerà nel suo governo queste linee guida e che in caso di elezioni avrà il suo punto di riferimento proprio nell’avvocato del popolo, sempre che i leader di M5S e PD siano d’accordo ma per il momento pare non abbiano nulla da obiettare, anche perché i sondaggi mostrano un alto indice di fiducia degli italiani in Conte. Ora questa “Alleanza per lo sviluppo sostenibile” potrebbe diventare una lista, un partito, un’associazione, un nuovo Ulivo o Asinello.
Conte non molla, non intende tornare a fare il professore, almeno per il momento, e si propone come una sorta di nuovo Prodi, cioè di federatore paziente e di buon senso di un centrosinistra geneticamente litigioso e separatista, che da oggi al suo interno ha ufficialmente anche il M5S, o almeno, quello che ne resterà, o che sorgerà dalle sue ceneri, dopo le inevitabili scissioni, già anticipate materialmente da Carelli e a parole da Di Battista, in caso di appoggio a Draghi. Il che ha un significato ben preciso da un punto di vista politico, cioè il ritorno al bipolarismo, che ci riporterà ad avere presidenti del consiglio indicati già in campagna elettorale (come appunto fu con Prodi e Berlusconi, questa volta sarebbero Conte da un lato e Salvini dall’altro) e forse anche maggioranze più stabili.