Il coprifuoco era un’usanza medievale per cui, durante le ore notturne, gli abitanti di una città erano tenuti a coprire il fuoco con la cenere, spegnere lumi e lanterne per evitare incendi. Il segnale, con il quale si intimava il coprifuoco, era per lo più dato con i rintocchi delle campane, la rete di allora.
Il rischio di incendi era insito nei materiali con i quali venivano costruite le abitazioni: paglia per il tetto e legno per il resto e il fuoco vivo era quello che serviva a preparare i pranzi e a scaldarsi, utilissimo quanto pericoloso.
Tutti avevano bisogno del fuoco ma si era capito che di notte, allentando la sorveglianza sul medesimo, succedeva che scoppiassero incendi i quali non si limitavano a carbonizzare la casa dell’incauto di turno, con lui magari dentro, ma il più delle volte coinvolgevano i beni e la vita dei vicini e anche di quelli un po’ più lontani se la cosa assumeva dimensioni incontrollabili.
Ecco che oggi abbiamo lo stesso problema: un sacco di teste di legno ripiene di paglia incapaci di controllare il sacro fuoco solipsista che li divora ma che però rischia di divorare anche chi solipsista non è.
E se alle campane si sono sostituite le ordinanze dei presidenti delle Regioni auguriamoci che siano provvedimenti già sufficienti, altrimenti il prossimo passo dovrebbe essere quello di riuscire a produrre in laboratorio dei tarli geneticamente modificati e capaci di lobotomizzare le teste di legno.