Coronavirus: 16.967 lettori “unici” per nostro appello a riaprire ospedali Schio e Thiene, letti in intensiva in Veneto salgono da 744 a 2.985

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Coronavirus, riaprano le sale di rianimazione di Thiene e Schio
Coronavirus, riaprano le sale di rianimazione di Thiene e Schio

Il 13 marzo VicenzaPiu.com aderiva e alle 20.08 lanciava l’appello dal titolo “Coronavirus, riaprire rianimazioni di Schio e Thiene: l’appello di USB e PCI è un’occasione per Zaia…” riscontrando un’attenzione senza precedenti.

Non eravamo i soli con Usb e Pci a invitare a riprendere in considerazione il riutilizzo di strutture abbandonate, forse, con troppa fretta e leggerezza, come il De Lellis di Schio e il Boldrini di Thiene, perché se anche il presidente dell’Ipab di Schio si muoveva in questo senso, anche Luca Zaia cominciava ad esaminare e a citare in pubblico ospedali veneti da rimettere in carreggiata per rispondere alla abnorme ed esplosiva necessità di sale e unità di rianimazione (qui la situazione ora per ora sul Coronavirusqui tutte le nostre notiziesull’argomento, ndr).

A parte la quantità di visualizzazioni e like sulle nostre pagine Facebook, molto più significativi sono i dati sia del numero di lettori effettivi dell’appello conteggiati dal ben più significativo Google analytics, sia dei Mi piace diretti messi sull’articolo sia, infine, del numero di lettori che ci hanno scritto alla mail specifica cittadiniòvipiu.it.

Ben 16.967 lettori “unici” (cioè molti di più perché ad ogni Ip corrispondono più lettori), nel momento in cui stiamo scrivendo, a solo 44 ore dalla sua pubblicazione, hanno cliccato e letto l’appello dedicandoci ognuno in media 3 minuti e 20 secondi (quindi molta attenzione) e addirittura 1906 di loro hanno anche esplicitamente approvato con un Mi piace la proposta.

Se, poi, aggiungiamo che in un’epoca di frettolosi e, spesso, distratti “sorrisetti” su Fb per foto di gatti o di gattine… osée decine di lettori si sono presi anche la briga di scriverci a cittadini@vipiu.it per accentuare, con tanto di nome e cognome, il loro appoggio all’iniziativa, beh c’è da dire che siamo soddisfatti di aver smosso un po’ di coscienze in un mondo che di “coscienza” non ne mostra mai abbastanza.

Questa triste constatazione, d’altronde, la confermano due di quei lettori, solo due ma significativi del clima di odio/ignoranza persistente, che se la prendono, uno, non con gli sprechi miliardari in infrastrutture ad oggi discutibili ma con i soldi “spesi per l’accoglienza dei clandestini” (che tra l’altro non sono andati a loro ma a società ed “entità” italiane) e, l’altro, con i medici spreconi e incapaci nella sanità pubblica che «fanno fare un sacco di accertamenti diagnostici inutili e costosi, un modo di lavorare che ha aumentato i costi e quindi si è tagliato in altri settori»!

Non sappiamo, allora, se sono stati determinanti gli attuali 16.967 lettori “unici” dell’appello ma se solo hanno contributo alle nuove decisioni ma riportiamo con piacere e approviamo il Piano Ospedaliero del Veneto per fronteggiare l’emergenza coronavirus appena comunicato dalla regione Veneto che, concretizzando le prime intenzioni del presidente Zaia, annuncia «740 posti letto da dedicare alle degenze “normali”, che verranno ricavati con la riattivazione degli ex ospedali di Valdobbiadene, Monselice, Bussolengo, Isola della Scala e Zevio, e 110 posti letto nelle cosiddette “Strutture Intermedie”».

Questo piano (qui le tabelle, ndr) prepara «l’intero sistema sanitario veneto, soprattutto dal punto di vista infrastrutturale e dei posti letto, all’ipotesi di maggior pressione possibile» che, riaprendo alcuni ospedali per le degenze “normali”, troverà risposta in un aumento di posti letto totali che, «assommando quelli di terapia intensiva, terapia subintensiva e malattie infettive, passano da 744 a 2.985, dei quali 825 di Terapia Intensiva (a regime normale sono 494), 383 di Terapia Subintensiva Respiratoria (a regime sono 85), 1.777 di malattie infettive (a regime sono 165)».

Il Piano di Emergenza prevede infine l’indicazione di alcuni “Covid Hospital” che, al loro interno, avranno aree totalmente isolate dal resto della struttura e che sono gli ospedali di Belluno, Vittorio Veneto, Dolo, Jesolo, Trecenta, Schiavonia, Santorso, Villafranca e Borgo Roma a Verona.

Se per allargare gli spazi “intensivi” per le terapie da coronavirus nelle altre strutture pubbliche non servirà a breve riaprire per normale degenza anche Schio e Thiene, peraltro parzialmente ancora funzionanti con alcune attività pubbliche e private, a emergenza finita e superata “tutti insieme” di sicuro bisognerà riconsiderare un diverso equilibrio tra le funzioni di maggior profitto delegate alle strutture private e quelle di necessità pubblica lasciate sulle spalle dello Stato.

A uno dei due lettori, quello che esalta il settore privato in cui «vale il concetto di redditività dell’investimento» per cui lì «un buon medico a volte a colpo d occhio capisce la patologia e interviene con la giusta terapia» abbiamo risposto così: «non sono l’ideale né il privato né il pubblico da soli ma bisognerebbe trovare un equilibrio che oggi non c’è: se un sanitario di un ospedale privato, che ha sempre ben lavorato per la redditività, oggi viene contagiato dal coronavirus dove va? Nella sua clinica privata, in cui non ci sono tipicamente strutture di rianimazione, o dai colleghi spendaccioni?».

Che, infatti, il Veneto abbia privilegiato la sanità privata lo dicono i numeri: i posti letto di Terapia Intensiva, prima delle decisioni odierne, sono praticamente tutti pubblici, cioè 470 (i dati sono calcolati a partire da quelli pubblicati da Il Gazzettino del 13 marzo con qualche minima discrepanza con i numeri diffusi oggi dalla regione e prima riportati se i 494 totali attuali di intensiva non dovessero comprendere i posti letto privati, ndr).

Se, come è vero, 293 letti sono negli ospedali a gestione diretta, 146 nelle aziende ospedaliere e integrate con le università, 2 negli istituti di ricerca e cura pubblici, 20 nei presìdi delle Ulss, 9 in altri enti ospedalieri, l’apporto privato è limitato a una quota del 5%, tra cui 14 posti inseriti nelle case di cura accreditate e una decina altrove.

Invece in Lombardia la quota privata è notevolmente più alta col 39% su un totale di 849 letti, di cui solo 522 pubblici, e anche in Emilia Romagna la parte privata è più consistente: il 23% dei 444 posti letto “intensivi” di cui 344 sono le unità pubbliche.