Coronavirus, altri danni collaterali: a Orban i pieni poteri in Ungheria, vecchi fascisti crescono con appoggio di Salvini e Meloni e nel silenzio UE

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Coronavirus, pieni poteri Orban nella foto con Meloni
Coronavirus, pieni poteri Orban nella foto con Meloni

E così, alla fine (forse, però, è solo l'inizio), il primo ministro ungherese Viktor Mihály Orbán si è fatto dare (o si è preso?) i pieni poteri con la scusa del coronavirus. Di fatto, l'Ungheria (paese della UE) ha, da ieri, il suo dittatore di destra a tempo indeterminato. Infatti sarà lo stesso Orbán a decidere quando il suo potere assoluto finirà. È il contrario della democrazia, ma tant'è.

La UE, al momento, tace. Evidentemente non ha nulla da dire. Il partito di Orbán fa parte del PPE (lo stesso della Merkel e, tra gli altri, di Forza Italia) ma, da parte dei “popolari europei”, non si alza nessuna voce di censura e critica a quello che viene definito dalle opposizioni ungheresi un colpo di stato (e, in definitiva, lo è). Chi comanda in Europa oggi tace (e, quindi, anche approva?).

In Italia, invece, gli aspiranti dittatori nostrani, Salvini e Meloni, parlano e appoggiano la mossa di Orbán.

Il capo leghista dichiara "Saluto con rispetto la libera scelta del parlamento ungherese (137 voti a favore e 53 contro), eletto democraticamente dai cittadini. Buon lavoro all'amico Victor Orbán e buona fortuna a tutto il popolo di Ungheria in questi momenti difficili per tutti". In definita Orbán ha oggi quello che lui voleva avere, “pieni poteri”.

Giorgia Meloni, invece, paragona quello che è successo in Ungheria a quanto ha fatto il presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte qua in Italia. Lo dice confondendo le carte e affermando che non conosce nel dettaglio quali siano i poteri di Orbán (questa la dichiarazione riportata dai giornali "Molto clamore per l'approvazione da parte del Parlamento ungherese di una legge che conferisce a Orbán i poteri speciali per affrontare la fase di emergenza. Non conosco, nel dettaglio, quali siano i poteri speciali conferiti al Primo ministro ungherese ma mi corre l'obbligo di segnalare che in Italia quasi tutti i poteri sono stati dati al governo con un decreto legge che il governo ha deciso di interpretare in modo molto estensivo").

Giorgia Meloni non sa ma parla, al solito, tanto per apparire e per far finta che in Ungheria il suo “amico”, un fascista vero e proprio, in definitiva sia un democratico. Magari un po' “estremista”, ma comunque un democratico. Non sa che in Ungheria da oggi il Parlamento non esiste e che sarà l'uomo solo al comando a decidere la propria decadenza dai pieni poteri.

I "nostri" sovranisti di destra li conosciamo bene. Contigui a gruppi dichiaratamente fascisti e nazisti non si vergognano delle loro posizioni spesso razziste e xenofobe. Li sentiamo quando parlano all'intestino dei cittadini, sappiamo che sono in perenne campagna elettorale. Ormai li conosciamo nelle loro esternazioni, nell'uso improprio (e sostanzialmente blasfemo) di immagini e simboli religiosi, nell'ostentazione di “Dio, Patria e Famiglia”. Non perdono occasione di apparire in televisione con richieste mirabolanti (che se loro fossero al governo non attuerebbero) e preghiere in diretta. Si, li conosciamo.

Ma in questa vicenda ungherese, in questo declino democratico al quale stiamo assistendo, imbarazzante è la posizione dell'Unione Europea. Attenta solo alla finanza e a favorire i paesi più ricchi e i loro alleati (e Orbán lo è), di fronte all'emergenza Coronavirus Covid-19 e ai danni (diretti o collaterali) che sta provocando, questa UE si sta sgretolando. Non serve o, meglio, è dannosa. Irriformabile.

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(qui la situazione ora per ora sul Coronavirusqui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr)

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.