Come mai la riduzione del traffico per l’emergenza Covid non ha drasticamente ridotto le polveri? Nonostante anche il bollettino Arpav – riporta un comunicato – di oggi attesti allerta zero in tutta la regione, molti hanno osservato che in questi ultimi giorni le centraline Arpav non hanno rilevato valori bassissimi di inquinamento da polveri.
“Il motivo principale – spiega Luca Marchesi, direttore generale dell’Agenzia veneta – è la stretta correlazione fra polveri e meteo. Quest’ultimo è comunque e sempre nel breve termine il fattore determinante e prevale rispetto agli altri fattori emissivi. In questo periodo ad una settimana, a fine febbraio, di vento e pioggia che ha abbassato i livelli, ne è seguita una di grande stabilità atmosferica. Inoltre più persone a casa significa più riscaldamento acceso. La notizia positiva è che in primavera le condizioni meteo sono favorevoli alla dispersione degli inquinanti e quindi nel prossimo periodo l’aria dovrebbe migliorare”.
Nel dettaglio l’analisi dell’Osservatorio aria Arpav
Da oltre 20 giorni in Veneto le concentrazioni di PM10 rilevate dalla rete di monitoraggio Arpav sono piuttosto basse. Pertanto dal 25 febbraio il livello di allerta in tutta la regione è verde (livello 0). Tale situazione è strettamente legata alle condizioni meteorologiche. Nel dettaglio nelle ultime due settimane vi è stata una serie di impulsi perturbati dopo un quasi un mese e mezzo di stabilità atmosferica e scarsità di precipitazioni. L’instabilità ha favorito la dispersione degli inquinanti abbassando significativamente le loro concentrazioni in aria.
E’ importante tenere conto che, a causa delle restrizioni alla circolazione delle persone legate all’emergenza COVid-19, il quadro emissivo regionale, dall’ultima settimana di febbraio, si è probabilmente discostato da quello normale, con una flessione soprattutto delle emissioni da traffico veicolare.
Il traffico impatta principalmente sulle emissioni di ossidi di azoto. Per quanto riguarda invece il particolato atmosferico, una percentuale significativa del PM10 viene emessa principalmente dal settore del riscaldamento civile. Ad essa si aggiunge una parte di particolato di origine secondaria, legato alla formazione di polveri sottili in atmosfera da inquinanti primari, come gli ossidi di azoto e l’ammoniaca. È ragionevole pensare che la formazione di particolato secondario si possa essere ridotta nelle ultime settimane, a causa della diminuzione di emissioni di ossidi d’azoto da traffico mentre è rimasta sostanzialmente inalterata la componente emissiva primaria da riscaldamento civile.
Per questo motivo ad oggi non è possibile effettuare una correlazione tra la generale diminuzione di polveri occorsa negli ultimi 20 giorni e le misure di restrizione della circolazione della popolazione dovute al Coronavirus. E’ invece ragionevole pensare che le condizioni di instabilità atmosferica abbiano giocato un ruolo fondamentale nel disperdere gli inquinanti e nel tenere basse le concentrazioni di PM10. Vi è un indizio che gioca a favore di quest’ultima ipotesi.
Dal 8 al 13 marzo, nel pieno delle misure restrittive, si sono avuti alcuni giorni di parziale stagnazione degli inquinanti e in tutta la regione si è registrato un trend di accumulo con aumento dei livelli di PM10 fino a concentrazioni oltre il limite giornaliero. Venerdì 13 marzo si sono registrate le concentrazioni più alte, quando hanno superato il valore limite l’80% delle centraline della rete, con massimi vicini ai 100 µg/m3. L’arrivo di un’ulteriore instabilità nella giornata di sabato, molto ventosa, ha riportato i livelli di polveri significativamente al di sotto del limite, con livelli odierni sostanzialmente inferiori a 20 µg/m3.
(qui la situazione ora per ora sul Coronavirus, qui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr)