Coronavirus, il Ministro Speranza porta i figli a scuola e dà… speranza agli italiani: “dopo l’inverno vedremo la luce”

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Speranza con i figli
Speranza con i figli

Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha portato i suoi due figli Emma e Michi, mano nella mano e a piedi, lunedì 14 settembre al primo giorno di scuola dopo la ripartenza dal lungo stop per il Coronavirus i suoi due figli Emma e Michi. Domenica le parole in una sua intervista a la Repubblica ad Annalisa Cuzzocrea (di seguito il testo) avevano dato… speranza agli italiani per uscire dal tunnel del covid

Resistere ancora qualche mese: «Una cura e un vaccino per il Covid sono vicini». Ritrovare lo spirito che ha caratterizzato l’Italia a marzo e aprile: «Basta polemiche inutili sulla scuola, non è un problema della ministra Azzolina, ma di tutti noi». Prendere i soldi europei per fare subito quella che più che una riforma, sarebbe una rivoluzione: «Portare il servizio sanitario nazionale nelle case delle persone. La parola d’ordine dev’essere vicinanza, prossimità. Abbiamo un’occasione irripetibile». Seduto sul divano bianco del suo ufficio di Lungotevere a Ripa, alla vigilia della riapertura dell’anno scolastico, il ministro della Salute Roberto Speranza dice: «Dobbiamo ancora mantenere il distanziamento, portare le mascherine, lavarci le mani, ma non è per sempre: dopo l’autunno e l’inverno vedremo la luce».

AstraZeneca ha annunciato che la sperimentazione sul suo vaccino riparte. È una buona notizia?

«Molto, il caso anomalo riscontrato non era legato al vaccino. Come Unione europea stiamo comprando un pacchetto 6+1, quello di AstraZeneca è uno dei sei ed è in fase più avanzata. Ci sono anche gli altri però. E stanno per arrivare cure innovative: a Siena il professor Rino Rappuoli sta facendo un lavoro straordinario sugli anticorpi monoclonali da cui verranno fuori farmaci efficaci».

Nel frattempo gli esperti invitano tutti a vaccinarsi contro l’influenza. Ci saranno abbastanza dosi?

«Ne abbiamo prenotato il 70% in più rispetto agli altri anni, c’è stato un rafforzamento significativo».

Domani aprono le scuole, è la prova più grande dopo la ripresa delle attività produttive. In molti però non si fidano delle misure prese, si è trascurata la sicurezza pur di ricominciare?

«Abbiamo lavorato con Regioni, Province e Comuni a partire dal documento sulla gestione dei casi Covid, approvato all’unanimità. Abbiamo fatto più che negli altri Paesi europei. Nessuno pensa che la situazione sia perfetta, non abbiamo la bacchetta magica e i problemi della scuola italiana non nascono col Covid. Ma ci sono risorse senza precedenti, stiamo provando a investire sul personale scolastico e sulle attrezzature, forniremo 11 milioni di mascherine al giorno a tutti gratuitamente».

Perché non prevedere la misurazione della febbre a scuola con i termoscanner, prima di entrare?

«Come ha spiegato il Comitato tecnico scientifico, la febbre va misurata a casa perché il tragitto fino a scuola è già occasione di incontri. Pensi solo ai mezzi pubblici. E per evitare assembramenti fuori dagli istituti scolastici».

Ristabilirete l’obbligo al certificato medico per assenze che durino più di tre giorni?

«Ci sarà un’attestazione da parte dei medici e dei pediatri. In caso di sospetto Covid la famiglia chiamerà il medico che valuterà di cosa si tratta».

Serviranno i tamponi, ce ne saranno abbastanza?

«Abbiamo rafforzato di molto la nostra capacità di fare test e miglioreremo ancora. L’obiettivo che ci siamo dati è non lasciare soli presidi e insegnanti, rinsaldare il legame che si era perso tra le scuole e il Servizio sanitario nazionale. Se ci saranno casi Covid, saranno le Asl a intervenire e decidere come procedere. È un processo nuovo, dovremo imparare a gestire questi casi, per questo dico che servono nervi saldi».

Si aspetta molti casi?

«È statistico che ci siano, per questo serve un grande sforzo da parte di tutti. Numeri alla mano oggi l’Italia sta un po’ meglio di altri Paesi europei. Dobbiamo recuperare lo spirito unitario che a marzo e aprile ci ha permesso di piegare la curva. Dentro questo sforzo le misure del governo e delle Regioni sono una parte, ma serve il contributo di tutti: medici, pediatri, presidi, insegnanti, studenti, genitori. E’ una sfida che riguarda l’Italia, non un problema della Azzolina su cui fare campagna elettorale».

Abbasserete la quarantena a 10 giorni?

«Stiamo valutando. Ascolteremo prima il Cts e ci confronteremo anche con gli altri Paesi europei».

Il presidente della Sardegna Solinas ha emanato un’ordinanza che prevede il tampone per chi arriva sull’isola. La preoccupano le iniziative solitarie dei governatori?

«Quello che penso e che ho detto fin dal primo momento è che senza condivisione e con scelte unilaterali non si va lontano».

Il suo governo è diviso sui fondi del Mes. Chi non lo vuole ritiene che la sanità sia già in sicurezza, che l’Italia non abbia bisogno di prendere quei 36 miliardi. È così?

«I soldi servono e ne servono tanti perché abbiamo un’occasione unica: fare una riforma che non sia fatta di tagli, ma che miri a riportare la sanità dove non c’è. La chiusura di ospedali e presidi nelle aree interne ha contribuito al distacco tra centro e periferia, tra città e contado. Io sono favorevole al Mes, ma non mi interessa da dove arrivino i soldi, non ne guardo il colore: che vengano dal Mes, dal Recovery Fund, dal bilancio dello Stato, ma che arrivino».

Che riforma ha in mente?

«La parola chiave è prossimità: il primo luogo di cura deve essere la casa. Abbiamo una delle popolazioni più anziane del mondo, aumentano le cronicità che non vanno curate negli ospedali. Il Ssn deve arrivare nelle case con medici, infermieri, ma anche con la sanità digitale sul telefonino dei pazienti. Bisogna mettere le radici più in basso possibile sul territorio».

Nella crisi del Covid è quello che è spesso mancato: alcune persone sono morte in casa, senza cure, senza avere il tempo di arrivare in ospedale.

«Il Covid ci ha mostrato fragilità, ferite, che abbiamo il dovere di sanare. Dobbiamo intervenire anche sulla spesa per il personale, sfondare i tetti stabiliti anni fa, che hanno finito per contrarre gli investimenti. Dobbiamo attrarre la ricerca farmaceutica in Italia e potenziare gli Ircss, i centri che tengono insieme ricerca e cura. Serve un salto culturale, capire che ogni euro che si mette nella sanità non è semplice spesa pubblica, ma il più grande investimento sulla vita delle persone».

Perché non avete reso pubblico il piano pandemico di inizio marzo?

«Questo governo non ha mai secretato nulla, siamo gli unici al mondo a pubblicare tutti i verbali del Cts. A metà febbraio i nostri scienziati hanno fatto uno studio con ipotesi molto variegate sul potenziale impatto del Covid e sulle misure che si potevano mettere in campo. Uno studio che gli stessi scienziati ritenevano fosse meglio mantenere riservato. Trovo le polemiche incomprensibili».

Non crede che avvertire prima la popolazione potesse servire?

«Siamo stati sempre chiari, ma non c’era un manuale di istruzioni. Alcune di quelle ipotesi si sono rivelate fallaci. In più, negli stessi giorni, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie scriveva che c’era una bassa probabilità di diffusione del virus in Europa».

Alle Regionali la maggioranza di governo si presenta divisa quasi ovunque e il centrosinistra rischia di uscire sconfitto.

«Si doveva fare di più per correre uniti. Ci sono regioni, come la Puglia, dove il risultato è in bilico, ma il rapporto tra forze della maggioranza e opposizione è 60-40. Il mio auspicio è che gli elettori siano più bravi di noi, che arrivino dove non sono arrivati i gruppi dirigenti con scelte intelligenti e capaci di fermare la destra».

Cosa non ha funzionato?

«Ci vuole più coraggio da parte di tutti. E parlo sempre a partire da me stesso. Non è possibile che siamo al governo del Paese e abbiamo paura di andare insieme a guidare una Regione o un piccolo Comune. Ma credo che il processo politico sia inarrestabile e che si vada verso un nuovo bipolarismo, con da una parte la nuova destra della protezione, identitaria, del sovranismo e dall’altro lato un campo democratico che dobbiamo costruire tutti insieme».


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