Coronavirus in Italia: qualche domanda su sanità regionalizzata e anche su diverse risposte della Lombardia rispetto ad altre regioni

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Coronavirus, l'Italia è tutta uguale con la sanità regionalizzata?
Coronavirus, Italia

Se si guardano i dati forniti il 6 aprile dal ministero della saluta sull’incidenza del coronavirus suddivisi per regione qualcosa dovrebbe attirare l’attenzione.

La percentuale di mortalità (rapporto tra deceduti e casi totali) è molto diversa tra le regioni (anche tra quelle note per l’alta qualità – l’eccellenza – del servizio sanitario).

Come si può vedere nella tabella allegata, la Lombardia è la regione con il più alto tasso di mortalità. E di gran lunga.

Questa “anomalia” dovrebbe indurci a tentare di capire come sia possibile che la sanità lombarda (da tanti definita la migliore in Italia e non solo) non abbia risultati analoghi a quella di altre regioni. Certamente la responsabilità non è del personale medico e infermieristico che sta svolgendo un lavoro difficile e pericoloso in maniera, questa si, eccellente. E, allora, cosa sta succedendo? Di fronte alle accuse che attribuiscono le responsabilità a questo o quel soggetto istituzionale, si dovrebbe rispondere che è strano che altre regioni (che sono nella stessa situazione di rapporti tra centro e periferia) abbiano dei tassi di mortalità per il Coronavirus Covid 19 così differenti e inferiori rispetto a quelli della Lombardia.

Lungi dal voler creare polemiche che sarebbero sterili e fuorvianti in questa situazione, sarebbe utile comunque porre alcune domande.

Si è proprio sicuri che non ci sia stata una sottovalutazione (o qualche tipo di volontà politica o esigenza produttiva) riguardo al contagio da Coronavirus che stava crescendo nelle province lombarde (in particolare a Bergamo e Brescia dove è presente un’alta densità di attività produttive)?

Perché non si è agito come nei primi focolai di Codogno e Vò Euganeo che sono diventati subito “zone rosse”?

E poi, è proprio vero che la sanità lombarda sia un’eccellenza?

Quanto hanno inciso, in questo disastro esplicitato dalla rudezza dei dati, le privatizzazioni selvagge (causa e, allo stesso tempo, effetto anche di pratiche non proprio trasparenti, vedi gestione Formigoni e non solo)?

Quanto è stata penalizzante quella visione aziendale della sanità pubblica che ha prodotto, per ottemperare al pareggio di bilancio, a tagli indiscriminati di strutture, servizi e personale?

Le scelte politiche effettuate (a livello nazionale e, soprattutto, regionale) non hanno ottenuto risultati, oltre che disomogenei, anche insufficienti?

Il servizio sanitario gestito in maniera diversa nelle diverse regioni ha portato benefici o ha contribuito a costruire sanità differenziate e autonome determinando complessivamente una situazione peggiorativa e non all’altezza di eventuali emergenze?

Adesso è il tempo di lottare per tornare a una vita quanto più normale possibile, ma dopo, tentiamo di cercare qualche risposta che non sia la riproposizione di quello che ha contribuito a rendere ancora più drammatica la situazione che stiamo vivendo.


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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.