Ogni epoca ha i suoi profeti. E quasi nessuna li ascolta. Possono indossare una tunica e vivere di carità o un maglioncino rosa e possedere un patrimonio di cento miliardi di dollari. A noi è toccato invano Bill Gates, che prima ha approfittato del nostro sistema di vita e poi ci ha suggerito di cambiarlo. Ora ha annunciato l’intenzione di dimettersi dal consiglio di amministrazione della società che ha creato 45 anni fa: Microsoft, una di quelle che, insieme con Apple, Google, Facebook e Amazon, ha modificato le nostre esistenze riducendo e quasi annullando lo spazio necessario perché le cose accadano e quindi accelerando il loro tempo di realizzazione.
Da questo gli è derivata la consapevolezza che la vita vada concepita come un software, un insieme di possibili programmi, e non come un hardware, un gruppo di componenti non modificabili. Quello che ha deciso all’età di 64 anni, con una moglie e tre figli, è un cambio di programma: meno affari e più filantropia; meno ricerca rivolta allo sviluppo e più diretta alla sopravvivenza; tecnologia non evolutiva, ma salvifica. Facile leggerci un intento di espiazione: farsi perdonare per la fortuna ottenuta sfruttando con finta ingenuità le regole di un gioco che privilegia le eccezioni. Unito a una finale ricerca di senso.
È una sensibilità comune a molti tra i grandi della finanza hi-tech. La primavera del 2015 è una data storica a questo riguardo. Accadono due cose straordinarie. Su una vetta del Kilimangiaro il vicepresidente di Google Patrick Pichette osserva un tramonto mozzafiato insieme con la moglie. È la loro prima vacanza da anni: lui ha guadagnato montagne di soldi, determinato globali abitudini. Niente ha mai avuto l’impatto della luce che ora li avvolge. Lei gli chiede: «E se da qui in avanti la nostra vita fosse dedicato a questo? ». Intende: la natura, la bellezza, il viaggio senza fine. La sua prima risposta è: «Non è ancora il momento ». Assorbito dall’eventuale, rimanda l’essenziale. Poi ci ripensa. Ora, certo, potendoselo permettere, si dedica a un progetto di conservazione in Canada.
In quella stessa primavera Bill Gates appare sul palco di un Ted Talk, uno di quegli eventi dove sono concessi 8 minuti per esprimere un’opinione, per lo più a visionari, fautori del pensiero laterale, specialisti assoluti eppure capaci di ricavare un insegnamento universale. Gates entra in scena spingendo un fusto metallico, uno di quelli in cui, nel timore di un attacco nucleare, venivano stoccati i beni di prima necessità. Afferma: «Il pericolo è un altro». Invece del fungo atomico mostra un’immagine sorprendentemente simile a quella del Coronavirus.
Da giorni quel filmato circola sul web. Ha attirato sospetti di complotto e proclamazioni di chiaroveggenza. D’altronde già all’epoca, scorrendo i commenti sotto il video, si oscillava tra: «Questo si intende di virus da quando ha creato Windows 95» a «Dovrebbe essere presidente della Terra». Per alcuni l’Anticristo, per altri il salvatore. In realtà, come ha fatto notare il sito Open , Bill Gates era semplicemente informato. Nel memorabile vecchio film “I tre giorni del condor” Robert Redford interpreta un impiegato in fuga che tiene in scacco la Cia. «Come è possibile? » chiede uno dei capi del servizio segreto. Un altro gli spiega: «Condor legge».
Bill Gates legge. Fino a 8 libri contemporaneamente. Con un sistema che gli tiene desta l’attenzione: un numero di pagine prefissato, poi cambia, senza finire il capitolo, lasciando accesa la curiosità. Spazia, confronta, dedicando settimane di ritiro a questa sola attività. Collega i dati, unisce i puntini e qualcosa apparirà. Se non appare, si arrabbia con se stesso. Ma se appare e gli altri non lo ascoltano è con loro che se la prende. Da tempo urla tre E: Energia, Ecologia, Epidemia. E riceve battute sui rivoluzionari gabinetti che ha progettato, senza necessità di acqua o fognature. È un progetto in cui ha investito 200 milioni lanciato, attenzione, in Cina.
L’atteggiamento generale verso chi ha costruito una strabiliante fortuna segue una trama scontata: prima l’ammirazione pressoché incondizionata, poi il tentativo di smontare la figura idealizzata criticandone la personalità (Steve Jobs) o le intenzioni (Marc Zuckerberg). Bill Gates avrà anche sfruttato una posizione di monopolio, ma quando ha visto il tramonto, anziché buttarsi in politica (come Bloomberg) ha ingaggiato una battaglia che pochi hanno capito.
Comprendere Bill Gates è difficile. Il suo ragionamento procede per accumulazione, per linee spezzate, coniuga concetti non apparentati, non condivide gli elementi: non si concede il tempo. Passione, risorse e senso di urgenza sono le tre caratteristiche che lo rendono unico. Oltre a capacità come quella di memorizzare tutte le targhe dei dipendenti Microsoft e passeggiare nel parcheggio la sera per vedere chi si fermasse più a lungo.
Netflix ha prodotto un documentario su di lui. Lo ha girato il regista di “Una verità scomoda”, il film sull’emergenza climatica con Al Gore. Ma non ha centrato l’obiettivo del titolo: entrare “Nel cervello di Bill”. Forse non è questo il punto. Nell’affidarsi agli altri si seguono per lo più gli uomini con muscoli o con cuore. Nell’ora più buia (ma meglio ancora, prima del suo scoccare) toccherebbe a quelli con una mente, diversa da tutte.
di Gabriele Romagnoli, da la Repubblica
(qui tutto ora per ora sul Coronavirus, qui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr)