Coronavirus, la vanità dei politicanti e Matteo Renzi: “le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua…”

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Coronavirus e il Matteo Renzi pensiero
Coronavirus e il Matteo Renzi pensiero

Probabilmente Matteo Renzi ci avrà pensato (non penso a lungo, non credo ne sia capace) di cosa potesse dire per riapparire dall’oscurità del dimenticatoio. E deve aver realizzato che doveva dire qualcosa di “forte” sull’emergenza Coronavirus. Non un’idiozia qualsiasi, no, qualcosa che dimostrasse appieno la sua (come si può definire?) incontenibile vanità.

E così, se ne è uscito con una enorme stupidaggine. Quasi fosse un Salvini qualsiasi (forse lo è) o un qualunque “governatore” leghista (ma perché, poi, continuare a chiamare “governatori” i presidenti di regione) abituati a dire tutto e il contrario di tutto, il Trump di qualche settimana fa o il Boris Johnson pre-contagio (suo). Si, insomma, non ha resistito a sparare qualche dichiarazione a vanvera come quelli che, dall’inizio dell’epidemia, hanno continuato a gridare (a fasi alterne) di chiudere tutto e aprire ogni cosa.

Si sarà guardato allo specchio, Matteo Renzi? Avrà curato la sua immagine? Conoscendo il personaggio è probabile. Infine ha dichiarato testualmente che “Le fabbriche devono riaprire prima di Pasqua. Poi il resto. I negozi, le scuole, le librerie, le messe” e ha proposto per le scuole la data del 4 maggio. Con quello che sta succedendo (ieri sono stati quasi mille i morti per o con coronavirus) è una follia, una straordinaria corbelleria. Ma Renzi, da politicante vanesio qual è, doveva pur dire qualcosa da “teatro dell’assurdo”.

Adesso va bene tutto ma questo sembra veramente troppo. Richieste e dichiarazioni che vengono sparate a destra e manca tanto per dire qualcosa in più di quello che viene fatto. Non è tollerabile, poi, il fatto che provengano dagli stessi personaggi che, in questi decenni, hanno contribuito a distruggere la sanità pubblica, a tagliare il personale medico e infermieristico, ad esternalizzare i servizi, a finanziare i privati…

E non è tollerabile neppure la loro protervia. Se avessero un minimo di pudore e di educazione personaggi di tal fatta dovrebbe tacere. Invece indossano la loro faccia di bronzo e parlano, convinti di sembrare intelligenti.

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(Qui la situazione ora per ora sul Coronavirusqui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr)

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.