L’Oms lo definisce un messaggio semplice e in effetti lo è. «Test, test, test», chiede il direttore generale dell’Organizzazione mondiale alla sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus ai Paesi colpiti dalla sempre più estesa pandemia del coronavirus (qui la situazione ora per ora sul Coronavirus, qui tutte le nostre notizie sull’argomento, ndr).
«Il modo più efficace per prevenire le infezioni e salvare vite è rompere la catena della trasmissione, testando e isolando», dice ancora, prima di annunciare di aver inviato quasi 1,5 milioni di tamponi a 120 Stati.
Quando hanno letto la dichiarazione, in Veneto sono rimasti quasi sorpresi. La regione di Luca Zaia da mosca bianca italiana, che con la sua decisione di fare esami a tappeto si era allontanata dall’indicazione di Istituto e Consiglio superiore di sanità, si è trasformata in terra di avanguardia in fatto di lotta al virus. Altrove ci si comporta in modo molto diverso. C’è chi segue le indicazioni del governo e dei suoi tecnici, e quindi fa il test solo agli asintomatici, e chi non riesce nemmeno a fare quello. In Lombardia in questo momento ci sono troppi casi per andare per il sottile. Bisogna pensare a curare e far stare a casa tutti, sia chi ha sintomi blandi che chi non li ha, senza approfondire le singole situazioni. Ormai il tampone i dipartimenti di prevenzione riescono a farlo solo a chi entra in ospedale, e infatti i tassi di mortalità e di ricovero si stanno alzando, visto che il numero di chi sta male è noto mentre quello di tutti i contagiati non è più rilevato con precisione. «Nel loro caso si capisce — osservano dal Veneto — Noi abbiamo meno positività e possiamo permetterci una strategia diversa, per contenere e isolare il virus». E così Zaia ieri ha annunciato che si passerà da una media di 3.200 tamponi al giorno a 11mila, iniziando dal personale sanitario. «Mi spiace ci sia qualcuno che dice che abbiamo sbagliato tutto — commenta — Ma noi, sinceramente, ce ne strafreghiamo». Fare i tamponi non solo a chi ha i sintomi ma anche a coloro che, pur essendo stati a contatto con i malati, si sentono bene, in prima battuta porta ad un aumento delle positività, in seconda a un maggior numero di persone isolate. Così, anche secondo l’Oms, il virus si combatte meglio. Del resto anche le misure previste per i cittadini, con i divieti di uscire se non per motivi sanitari, di lavoro o per fare la spesa alimentare, hanno la stessa finalità.
Malgrado la presa di posizione dell’organismo internazionale, a Roma i consiglieri del governo restano poco convinti della strada scelta dal Veneto. «Un ampliamento indiscriminato dei tamponi è irrealistico e poco utile per contenere l’infezione in Italia», ha detto ieri il presidente del Consiglio superiore di sanità, Franco Locatelli. I tecnici dell’esecutivo hanno individuato a chi va fatto il test: «Soggetti con gravi sintomi respiratori, o che, anche in presenza di sintomi simil-influenzali, hanno l’indicazione a questo tipo d’indagine per una storia di contatto con chi ha sviluppato il problema o perché provengono da aree dove c’è particolare concentrazione». Forse le cose cambieranno, e l’Italia troverà una strategia sanitaria comune in un momento drammatico come questo, se arriveranno gli attesi test rapidi. Nel giro di un’ora sarebbero in grado di dire se una persona è colpita o meno dal Covid-19. In quel modo la ricerca del reale numero delle persone colpite e gli isolamenti sarebbero molto più semplici. In questi giorni molte aziende farmaceutiche si fanno avanti con le strutture sanitarie per sottoporre i loro test ma, come dice Giuseppe Ippolito dello Spallanzani. «Le situazioni di emergenza stimolano i peggiori istinti di fare mercato. Per questo i vari test rapidi devono essere attentamente valutati e validati, sapendo che per acquistarli si utilizzano soldi pubblici. Non bisogna diffondere speranze senza avere prove scientifiche».
di Michele Bocci, da la Repubblica