Coronavirus: Zaia e i topi “cinesi”, farsa e dramma di un uomo ridicolo. La Cina si appella all’Italia “civile”

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Luca Zaia
Luca Zaia

Il presidente della regione Veneto, Luca Zaia (osannato da troppi – non da quelli che si ricordano Mose, Pedemontana, Pfas ecc. – e considerato da tanti esempio di buona amministrazione) ha parlato del coronavirus a una emittente veneta (Antenna 3 Nord Est).

In questa intervista ha dichiarato esplicitamente (è bene rileggersi le incredibili affermazioni del politico leghista): “Sapete perché in una settimana noi abbiamo solo 116 casi positivi, di cui 63 non hanno sintomi e stanno bene e ne abbiamo solo 28 in ospedale? L’igiene che ha il nostro popolo, i veneti e i cittadini italiani, la formazione culturale che abbiamo, è quella di farsi la doccia, di lavarsi, di lavarsi spesso le mani, di un regime di pulizia personale  particolare. Anche l’alimentazione, le norme identiche, il frigorifero, le date di scadenza degli alimenti… Cosa c’entra? C’entra perché è un fatto culturale. La Cina ha pagato un grande conto di questa epidemia perché comunque li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi o questo genere di cose“.

Parole di una gravità eccezionale, infarcite da razzismo nei confronti del popolo cinese rispetto al quale, in tutta evidenza, Zaia si considera culturalmente superiore. Parole che, invece, evidenziano una pochezza e un grado anche di educazione ridotto ai minimi termini. Il signor Zaia non si trovava in un bar a dire qualsiasi cosa, a sparare battute magari ridendo e bevendo un bicchiere di vino in compagnia. No, Zaia ha detto tutto questo nel suo ruolo di presidente del Veneto (governatore come amano farsi chiamare quelli che occupano quell’incarico) con la sicurezza di dire qualcosa di intelligente propria di chi non lo è.

Non c’era nulla di intelligente, invece, in frasi che, oltre ad essere non vere, sono un insulto nei confronti di un intero popolo e di una nazione con la quale intratteniamo rapporti economici importanti. Un autogol? Non proprio, soltanto l’esternazione di quello che personaggi come Zaia pensano e non solo da ora. Pensiamo allo spettacolo del leghista Fontana (presidente della Lombardia) con la mascherina. Un’azione inutile e preoccupante. E che dire delle dichiarazioni del loro capo, l’ex ministro Salvini, che vorrebbe chiudere i porti ai migranti perché porterebbero malattie (mentre dalle notizie si capisce che sono italiani i pochissimi primi casi africani di CoVid-19)?

Evidentemente l’ideologia razzista e xenofoba seminata da tempo da questi “signori” è un virus ben radicato anche nelle loro menti.

Comunque, le dichiarazioni di Zaia, non sono rimaste inascoltate e avranno conseguenze anche nei rapporti tra Italia (e regione Veneto in primis) e la Cina.

La prima reazone è una nota dell’Ambasciata cinese. Una nota che dimostra la serietà, la cultura e l’educazione che Zaia non ha certo avuto: “In un momento cruciale come questo, in cui Cina e Italia si trovano fianco a fianco ad affrontare l’epidemia, un politico italiano non ha risparmiato calunnie sul popolo cinese. Si tratta di offese gratuite che ci lasciano basiti. Ci consola il fatto che moltissimi amici italiani non sono d’accordo con tali affermazioni e, anzi, le criticano fermamente. Siamo convinti che quelle parole non rappresentino assolutamente il sentire comune del popolo italiano. Il popolo italiano è un popolo civile e nostro amico. Il nuovo coronavirus è un nemico comune, che richiede una risposta comune. In un momento così difficile, è necessario mettere da parte superbia e pregiudizi, e rafforzare la comprensione e la cooperazione al fine di tutelare la sicurezza e la salute comune dell’umanità intera“.

Dopo qualche ora, come riportato dai giornali, Zaia ha chiesto “scusa”: “Mi spiace che qualcuno abbia montato una polemica su questo, non ho mai detto che i cinesi non si lavano. E mi scuso se ho urtato la sensibilità di qualcuno, anche per i rapporti personali, noti e testimoniati, che ho con la comunità cinese. Mi spiace d’essere stato da alcuni frainteso, e da altri volutamente strumentalizzato. La mia era una riflessione che non voleva offendere nessuno; si riferiva alla montagna di materiale e video, molti dei quali fake, che pesano sulla ”reputazione” di questo virus. È indubbio che le condizioni che abbiamo qui sono diverse da quella in Cina. Ma il qualunquismo e la generalizzazione non sono nel mio stile. È pur vero, tuttavia, che in un paese dalle mille sfaccettature, che presenta contesti metropolitani di assoluta innovazione, come Shanghai, Pechino, Shenzhen, ve sono altri che sono agli antipodi”.

Al solito, quando i nostri politicanti sparlano a vanvera o quando si accorgono di aver detto cose controproducenti e non vere (ma, se avessero un minimo di raziocinio, dovrebbero pensarci prima di parlare) affermano di essere stati fraintesi e che “gli altri” stanno strumentalizzando le proprie dichiarazioni. Loro non hanno colpa né responsabilità alcuna, anzi sono amici di chi si è sentito offeso che, evidentemente, non ha capito il senso della frase.

Ma il senso, caro Zaia, era (ed è) chiarissimo. Il succo di quello che Lei ha affermato è che i cinesi si sono ammalati per il coronavirus prima e più di noi (bisognerebbe, a questo riguardo, fare comparazioni sui numeri relativi e non assoluti visto che si sta parlando di ordini di grandezza ben diversi tra regioni cinesi e territori del Veneto interessati all’epidemia) perché mangiano topi vivi e sono culturalmente inferiori a noi veneti soprattutto nell’igiene. È questo che Lei intendeva, non altro. A meno che quando parla lasci uscire le frasi senza pensarle prima. Le sue affermazioni non sono state fraintese e non vengono strumentalizzate, evidenziano in maniera trasparente il suo pensiero che (se esiste) è veramente desolante.

Nota: Il titolo “La farsa di un uomo ridicolo” è parafrasato da quello di un film di Bernardo Bertolucci. Il termine “farsa” sostituisce la parola “tragedia” perché questa non è di Zaia ma di tutti i veneti che hanno lui come “rappresentante” istituzionale.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.