Corte di cassazione stabilisce che a scuola non vale il principio di maggioranza. “Filosofia in Agorà”: alla ricerca di un accomodamento ragionevole

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Cassazione su crocifisso e accomodamento ragionevole
Cassazione su crocifisso e accomodamento ragionevole

Non è affatto semplice il ruolo svolto dalla Corte suprema di cassazione, un organo giuridico che giunge a stabilire, alla fine del percorso della giustizia ordinaria, la legittimità delle sentenze dei gradi precedenti, anche perché, essendo responsabile della funzione nomofilattica del diritto, il suo lavoro è assolutamente dirimente e definitivo sulle questioni che giungono sul suo tavolo.

Ed è particolarmente interessante il significato del termine nomofilachia, un concetto che, in effetti, non si concilia molto bene con il lavoro della filosofia, delle scienze umane, ma anche, in linea generale, delle scienze esatte, che, per progredire nel loro incessante lavoro, hanno bisogno di non avere freni ed essere aperte a continue interpretazioni, revisioni e risemantizzazioni. E, invece, la nomofilachia, che deriverebbe dal greco νόμος, (norma), unito al verbo φυλάσσω, che indica l’azione estremamente evocativa del “proteggere con lo sguardo”, è quel compito che la corte suprema di cassazione ha di garantire l’osservanza della legge mediante la sua interpretazione uniforme e unitaria del diritto in uno Stato.

È evidente che si tratta di una funzione assolutamente necessaria per vivere in maniera civile all’interno di una società, giacché quantomeno l’azione e il movimento dei corpi che occupano lo spazio pubblico necessitano di essere stabiliti in maniera chiara e distinta e per questo occorre una misura politica negativa, nel senso di limitativa, che sia riconosciuta e legittimata nella sua funzione da tutti i cittadini. Altrettanto evidente, invece, è il fatto che uno Stato, se vuole essere definito liberale, non può porre freni al pensiero, alle idee e all’interpretazione delle menti che occupano lo stesso spazio pubblico, sulle quali non può esservi alcune misura politica negativa né limitativa né definitiva, ma solo un continuo e necessario aggiornamento e accomodamento operato in base all’esercizio di una ragionevolezza che nemmeno il principio di maggioranza può scalfire, imponendosi come dirimente.

Queste considerazioni che rientrano nell’ambito della filosofia del diritto, ma con evidenti ripercussioni nella filosofia politica, sono, nel merito, proprio il risultato della sentenza che la corte di cassazione ha espresso in relazione al caso di Franco Coppoli per quanto riguarda la rimozione del crocifisso dall’aula in cui insegnava.

In sostanza, la sentenza della corte di cassazione, presieduta dal barese Pietro Curzio, esercitando il suo ruolo definitivo e dirimente sul gesto di rimozione (esercitato dal Coppoli) o di affissione del crocifisso (deliberato a maggioranza dai ragazzi e dalle ragazze della classe e imposto dal Dirigente scolastico), ha stabilito che per quanto riguarda le divergenze interpretative di tipo culturale, religioso o politico non può esservi alcuna decisione dirimente e definitiva imposta dalla maggioranza né, tantomeno, dal Dirigente, assolutamente non legittimato nell’imporre alla minoranza, foss’anche il solo Coppoli, la presenza del crocifisso alla sue spalle.

Questo concentrato di saggezza giuridica e politica, quintessenza del concetto greco di phronesis, cioè di perfezione nell’esercizio della ragione volta ad orientare il comportamento morale e l’azione, viene espresso, sempre nella sentenza sul caso Coppoli, con l’invito, nel caso di contrasti di coscienza di carattere interreligioso o interculturale, a non ricorrere a soluzioni dall’alto o maggioritarie, ma “costringendo” tutti i soggetti coinvolti nel confronto a trovare un “accomodamento ragionevole”.

Nella fattispecie, dunque, viene annullata la sanzione irrogata dal Dirigente nei confronti del Coppoli perché, molto semplicemente, egli non ha il potere di imporre ad una minoranza dissenziente presente in un’aula, come arredamento scolastico, un simbolo, un feticcio, foss’anche un’insegna stradale particolarmente significativa per la maggioranza dei ragazzi e delle ragazze: «la regola di maggioranza senza correttivi non può utilizzarsi nel campo dei diritti fondamentali, che è dominio delle garanzie per le minoranze e per i singoli. I diritti fondamentali svolgono un ruolo contro-maggioritario, sicché, abbandonato il criterio quantitativo, il “peso” assunto dai soggetti coinvolti non può fare ingresso quale decisivo criterio di bilanciamento delle libertà», giacché «il numero non è mai decisivo come tale»[1].

Il Dirigente, in sostanza, è venuto meno al compito di impegnarsi a trovare un “accomodamento ragionevole” che tenesse insieme le posizioni dei ragazzi, delle ragazze e del professore non credente: «l’accomodamento ragionevole è il luogo del confronto: non c’è spazio per fondamentalismi, per dogmatismi o per posizioni pretensive intransigenti che debbano valere in ogni caso nella poro pienezza irrelata. L’accomodamento ragionevole è basato sulla capacità di ascolto e sul linguaggio del bilanciamento e della flessibilità. Valorizza le differenze attraverso l’avvicinamento reciproco orientato all’integrazione tra le diverse culture […]. L’accomodamento ragionevole favorisce, insieme al raggiungimento di soluzioni concrete più eque, l’incontro e la creazione di un clima di mutuo rispetto, di condivisione e di comune appartenenza, di coesione e di intesa, particolarmente utile in uno spazio vitale di convivenza organizzata come l’aula scolastica»[2].

Ed è particolarmente curioso che una società moderna occidentale così avanzata dal punto di vista culturale, civile e politico faccia ricorso alla funzione nomofilattica definitiva e dirimente della corte di cassazione presieduta dall’illuminato Pietro Curzio per stabilire che i conflitti interculturali e interreligiosi debbano essere risolti “accomodandosi” intorno ad un tavolo senza alzarsi fino a quando la “ragionevolezza” dei convenuti non suggerisca «una soluzione “mite” […] che si articola in scelte da effettuare caso per caso, alla luce delle concrete esigenze, nei singoli istituti scolastici, con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti e con il metodo della ricerca del più ampio consenso»[3].

Ebbene, tra le popolazioni africane, che noi, nella boria eurocentrica, riteniamo primitive, povere e pregiudizialmente prive di un retaggio culturale anche solo lontanamente paragonabile al nostro, vi è quella dei Dogon del Mali, i quali affidavano, e continuano ad affidare, le decisioni più importanti per la loro comunità ad un consesso di saggi che si riuniscono nella togu nà (la casa della parola), cioè un edificio così basso che occorre “accomodarsi” e stare seduti per dedicarsi al dialogo e alle decisioni ragionevoli[4].

Ecco, se avessimo avviato con largo anticipo il dialogo con le altre culture e ascoltato gli africani, forse adesso l’accomodamento ragionevole sarebbe un metodo già consolidato nel dirimere le controversie inerenti alle questioni morali, culturali, religiose e, magari, anche quelle pratiche.

[1] Sentenza Corte di cassazione n. 224414 del 9/09/2021, p. 46.

[2] Ivi, p. 44.

[3] Ivi, p. 36.

[4] G. Calame-Griaule, Il mondo della parola. Etnologia e linguaggio dei Dogon, Bollati Boringhieri, Torino 2004.


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a cura di Michele Lucivero

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