Ha fatto scalpore, pur non destando particolare sorpresa, la notizia che la Corte di Giustizia europea ha respinto il ricorso della Commissione UE (qui la sentenza sullaa nostra testata Bankileaks) contro la sentenza del 19 marzo 2019 con la quale il Tribunale UE aveva escluso che l’utilizzo del FITD (fondo interbancario per la tutela dei depositi) per il salvataggio di banca TERCAS (Cassa Risparmio di Teramo) fosse un cosiddetto aiuto di Stato. Quel Tribunale aveva affermato che il FITD è un consorzio di banche, cioè un ente privato, che opera con risorse proprie e non riconducibili allo Stato e, quindi, il suo intervento non era imputabile ad un organismo statale o ad un’impresa pubblica e, di conseguenza, era legittimo. Ma una tale decisione era stata inopinatamente impugnata dalla Commissione UE, che aveva insistito per la tesi dell’aiuto di Stato.
Ora, finalmente, è stato stabilito che la proibizione europea, nel caso TERCAS, si basava su un presupposto giuridico errato.
Ma, nel frattempo, quell’ostinata decisione negativa della Commissione UE (pur in presenza di precedenti plurimi salvataggi bancari proprio attraverso il FITD) ha creato un’infinità di danni. E adesso ci si chiede se sia praticabile (e quale possa essere) un percorso risarcitorio.
Certo è che questo errore impone all’Europa, quantomeno, un urgente ripensamento delle sue direttive in materia bancaria, a cominciare dal bail in, ed una conseguente più rigorosa loro coerenza applicativa. Ma quel che più conta è trovare il modo per costringere la stessa Europa a pagare il conto a tutti. Deve, infatti, essere ricordato che quella decisione, pur se riferita ad un caso specifico di istituto bancario (TERCAS), ha comportato un tale improvviso scompiglio nell’intero sistema bancario, da avere, poi, anche impedito il preventivo intervento del FITD a sostegno di altre banche italiane in crisi: Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti, Cariferrara, che avrebbero così evitato la loro sottoposizione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa e la loro “risoluzione”. Inoltre, il diffuso disorientamento conseguito al cambiamento di decisione sull’operatività del Fondo, in tema di salvataggi, ha significativamente creato gravi perdite sul mercato per l’intero comparto bancario. E, per di più, è stato una delle cause che, impedendo l’intervento preventivo del FIDT nelle incipienti crisi delle due banche popolari venete, hanno contribuito al loro default, dopo la verifica dell’inutilità dello sforzo del Fondo Atlante, costituito ad hoc.
In tale contesto, generato dall’ostile atteggiamento europeo, si è, poi, anche inserita la riforma italiana delle banche popolari del 2015, che le ha forzatamente avviate alla quotazione in borsa nel momento più disastroso e di massima incertezza del mercato. La riforma (attuata – lo si ricorda ancora – con un provvedimento normativo di urgenza, dopo oltre 130 anni di vigenza del modello delle banche popolari ed approvato, in sede di conversione, con il voto di fiducia al Senato) è stata criticata aspramente non solo per il suo contenuto, ma anche (e soprattutto) per la sua scellerata tempistica applicativa. E tutto questo ha fatto pensare a molti che la fine dei due istituti veneti (Veneto Banca, in particolare) sia stato il coerente e logico risultato delle tante opacità delle manovre di sistema, riconducibili alla politica europea e generate dall’illegittima decisione della sua commissione sulla concorrenza qui menzionata.
Quello commesso dall’Europa è stato, dunque, un errore di diritto talmente grave ed evidente da far sospettare che sia stato l’espressione di una deliberata scelta europea di cambiare decisione sull’estensione applicativa del FITD proprio per dare inizio a qualche prova generale di bail in e di cominciare, così, l’attuazione della programmata (dall’Europa) riduzione del numero delle banche.
Ora si apre una possibile fase risarcitoria che, tuttavia, per i singoli danneggiati, non è né scontata né agevole, come, superficialmente, qualcuno sembra far credere. Esistono, infatti, non poche incertezze interpretative anche sulla disciplina giuridica di riferimento e sulle condizioni fattuali di riconoscibilità di risarcimenti. Ma è, soprattutto, auspicabile che su queste tematiche si impegni, ora più che mai, la Politica ricercando, proprio in Europa, i termini per un’equa riparazione economica a favore delle tante vittime del Sistema.
Sorprende, a tale proposito, che proprio la Vestager (la quale presiedeva la Commissione europea che ha bloccato l’intervento del Fondo nei salvataggi bancari) abbia ricevuto a Bruxelles, nella primavera del 2019, i rappresentanti delle associazioni degli ex soci delle due banche popolari venete ed abbia loro espresso solidarietà per il disastro economico conseguente al loro default (che, senza quella errata decisione, riconducibile anche al suo operato, non ci sarebbe stato). Quell’incontro assume ora il sapore di una beffa…
Adesso si deve muovere (e immediatamente) solo lo Stato, anche perché è bene evitare possibili inquinamenti interpretativi e impedire ad eventuali opportunisti di depistare, ancora una volta, i risparmiatori traditi, promettendo loro soluzioni apparentemente facili, ma prive di concretezza, così da renderli, ulteriormente, destinatari di mere illusioni.
Credo, infine, che sia giunta un’ulteriore occasione per convincerci che i numerosi sforzi, provenienti anche da soggetti istituzionali, per attribuire ai soli amministratori tutte le colpe dei disastri bancari debbano sembrarci sempre più strumentali e depistanti.
Giovanni Schiavon
Magistrato
già presidente dei tribunali di Belluno e Treviso
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