Nel periodo di picco dell’epidemia Covid in Italia (1 marzo-30 aprile), la spesa complessiva a livello nazionale è stata pari a 5,8 miliardi (fonte Public Policy). È quanto emerge da un’indagine conoscitiva sugli affidamenti connessi al trattamento ed al contenimento dell’epidemia da Covid-19 condotta da Anac. L’Autorità anticorruzione ha inviato un questionario alle 182 stazioni appaltanti che nel periodo di riferimento risultano aver espletato appalti, selezionando quelli di importo maggiore per ciascuna di esse.
Dall’indagine emerge che il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica, ha gestito, come stazione appaltante, procedure per un valore pari a poco più di un terzo (35%) della spesa nazionale: se a questo dato sommiamo l’importo delle procedure svolte dal dipartimento per la Protezione civile, si osserva come il 41,1% della spesa nazionale (circa 2,38 mld di euro) sia passata attraverso questi due soggetti i cui affidamenti, seppur effettuati a livello centralizzato, hanno avuto impatto sulle esigenze di tutta la popolazione italiana.
Gli acquisti a livello centralizzato si sono concentrati soprattutto nell’acquisto di mascherine (per il 75,9% della spesa nazionale) e di ventilatori e altri strumenti per ossigenoterapia (per il 58,1%), ossia nei settori cruciali della fase più drammatica dell’emergenza anche dal punto di vista delle difficoltà di approvvigionamento. Per le altre categorie merceologiche, invece, sono state le Regioni a farsi carico della quota maggioritaria della spesa.
Esaminando la distribuzione delle procedure in base alla scelta del contraente utilizzata, escludendo le procedure caratterizzate dall’acquisizione di uno smartCIG, si osserva un massiccio ricorso alle procedure che non prevedono l’evidenza pubblica, utilizzate nell’85% dei casi e per il 93% della spesa complessiva: lo sfruttamento delle deroghe al Codice appalti concesse con l’ordinanza del Capo della Protezione civile a febbraio si manifesta negli importi medi di tali appalti, pari a circa 724.000 euro per gli affidamenti diretti e a 1.410.000 euro per le procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando. Inoltre, sebbene numericamente il 67,3% di esse (pari al 3,2% del valore) sia di importo inferiore ai 150.000 euro, l’80% della spesa complessiva corrispondente alle due tipologie di procedure è rappresentato da appalti di importo superiore ai 5 milioni di euro.
“Oggi, potendosi dire superata la fase più critica dell’emergenza e ritenendo sotto controllo il trend del contagio, ma anche alla luce delle azioni intraprese per rendere le strutture sanitarie in grado di fronteggiare un eventuale peggioramento della situazione, forse sussistono le condizioni per poter valutare l’opportunità di eliminare le deroghe al Codice dei contratti per gli affidamenti espletati dai soggetti attuatori”, scrive l’Anac nel report.
Il ricorso alla centralizzazione degli acquisti, evidenzia ancora il report, si attesta al 78,4% della spesa complessiva, “risultato insperato se consideriamo che spesso il ricorso a centrali di committenza e soggetti aggregatori viene visto come causa di complessità e dilatazione dei tempi, laddove in una situazione emergenziale il fattore tempo è di vitale importanza”. In tale fattispecie sono state incluse anche le procedure espletate dal Commissario straordinario per l’emergenza e dal dipartimento della Protezione civile che, sebbene siano state svolte come contratti d’appalto (e quindi non classificate come strumenti di aggregazione della domanda), rappresentano acquisti effettuati a livello centrale ma destinati a soddisfare le esigenze di carattere nazionale.
L’Anac sottolinea ancora che sussiste una forte variabilità a livello regionale, con ben 7 Regioni che hanno fatto ricorso alle centrali di committenza e ai soggetti aggregatori regionali per meno dell’1% della spesa, e 8 che vi hanno fatto ricorso per più del 50%.
L’Anticorruzione ha poi elaborato una serie di dati per cercare di rispondere a domande specifiche. Per esempio: quanto ha pesato economicamente la spesa per l’emergenza Covid-19 su ogni singolo cittadino, in media? Secondo l’Anac, la spesa pro-capite per l’emergenza, sostenuta da ogni singola Regione, varia da un minimo di 4,79 euro in Molise fino ad un massimo di 101,19 euro in Toscana, per una media che si attesta a 42,61 euro. Se consideriamo invece la spesa nazionale, comprensiva degli acquisti fatti dalle stazioni appaltanti centrali, la quota pro-capite si attesta a 96,11 euro. Dai dati, inoltre, emerge che “in linea di massima c’è una bassa correlazione” tra la spesa pro-capite e l’indice di vecchiaia della regione. Ad esempio, Campania e Provincia autonoma di Bolzano, che hanno il più basso tasso di vecchiaia, risultano tra le Regioni con una spesa pro-capite superiore alla media.
E ancora, il rapporto tra la spesa regionale e il numero di contagiati della regione al 30 aprile è caratterizzato da un’alta variabilità: si va dai 76.308 euro per contagiato della Campania ai 3.939 euro della Valle d’Aosta. Il valore nazionale, che tiene contro della spesa complessiva fatta anche dalle stazioni appaltanti centrali, si attesta a 28.180 euro. La Lombardia, all’apice come numero di contagi, registra una spesa per contagiato pari a 5.178 euro, terz’ultima in graduatoria. Chiaramente, sottolinea l’Autorità, su queste cifre influiscono diversi fattori: la distribuzione geografica e la tempistica con cui si è diffuso il virus; le forniture distribuite dal Commissario straordinario all’emergenza e dalla Protezione civile; il tempo che hanno avuto le Regioni per reagire all’emergenza; l’incidenza dell’utilizzo di strumenti quali accordi quadro o convenzioni che, essendo di durata pluriennale, hanno importi più elevati.
L’Anac ha osservato “un’elevata variabilità dei prezzi, con particolare riferimento a quelli delle mascherine, spiegabile probabilmente solo in parte con le differenze qualitative dei prodotti e con la situazione di mercato generata dall’emergenza sanitaria”. L’Autorità ha inoltre osservato che dopo un’iniziale sensibile crescita dei prezzi in corrispondenza del picco emergenziale, si è innescato un processo di stabilizzazione dei prezzi, presumibilmente attribuibile da un lato all’allentamento dello stato emergenziale, dall’altro all’effetto calmierante attribuibile alle ingenti quantità acquistate da alcune importanti stazioni appaltanti, tra cui Consip.
“Sia pur limitatamente a sole due tipologie di mascherine e a un numero di osservazioni non particolarmente elevato, quindi non necessariamente generalizzabile, è comunque degna di nota l’evidenza che i prezzi pagati dalle stazioni appaltanti che hanno fatto istanza di parere di congruità, presentano valori medi non di poco inferiori a quelli rilevati con l’indagine. Ciò sembra indicare che le amministrazioni che si sono trovate di fronte alla necessità di effettuare acquisti in estrema urgenza utilizzando l’art. 163” del Codice appalti “e che hanno comunicato l’affidamento all’Anac ai fini del parere, sono riusciti ad ottenere prezzi di acquisto anche migliori rispetto alle altre stazioni appaltanti che hanno utilizzato altre procedure. Un risultato apparentemente sorprendente e controintuitivo, dacché ci si sarebbe aspettati esattamente il contrario, ossia prezzi in somma urgenza mediamente non inferiori e anzi, ovviamente entro certi limiti, giustificatamente superiori rispetto a quelli risultanti dalle altre procedure, con differenze via via crescenti in relazione alla maggiore apertura al confronto concorrenziale sotteso alle diverse procedure”.
L’Anac ha quindi stilato un elenco delle principali criticità di ordine generale rilevate negli affidamenti eseguiti in occasione dell’emergenza Covid-19. Tra queste: variabilità elevata dei prezzi, con particolare riferimento a quelli delle mascherine; frequente esito negativo delle verifiche sul possesso dei requisiti di ordine generale; frequente inaffidabilità dell’offerente che non ha fornito idonee garanzie di competenza tecnica e solidità economico-finanziaria; frequente mancato rispetto dei tempi previsti per il completamento delle forniture; frequente mancato rispetto delle condizioni contrattuali relativamente a difformità qualitative e/o quantitative delle forniture e, talvolta, conseguente risoluzione contrattuale attivata dalla committenza.