Le vittime indirette della pandemia sono state tantissime: soprattutto giovani, donne e precari. A dare voce al malcontento di tutti gli esclusi da bonus e ristori, i “lavoratori invisibili”: «La colpa è delle istituzioni, ma la responsabilità di cambiare le cose è di tutti». Ma nel regno delle ombre emerge anche qualche filo di speranza. Qualcuno pronto ad aprire non appena tutto questo finirà.
La diffusione dei contagi sarà anche cieca di fronte alle disuguaglianze sociali, ma la crisi economica che ne è derivata di democratico ha ben poco. Non è affatto vero che siamo tutti sulla stessa barca: siamo tutti, piuttosto, nello stesso burrascoso mare. C’è chi sta affrontando la tempesta con un biglietto di prima classe su una crociera di lusso, e chi invece arranca su una zattera di fortuna. Le vittime indirette – quelle che non sono state contagiate dal virus ma sono state investite in pieno dalle sue conseguenze socioeconomiche – sono state tantissime. Soprattutto nei settori ad alta percentuale di lavoratori stagionali e precari, rimasti fuori dai radar ed esclusi dalle misure a sostegno del reddito previste dal Governo.
La stima sul mercato del lavoro diffusa dall’Istat a fine anno parla chiaro. Con la pandemia la percentuale di giovani senza lavoro in età compresa tra i 25 e i 49 anni è tornata a sfiorare il 30%, collocando il nostro Paese agli ultimi posti nell’area Euro. A pagare a caro prezzo le conseguenze economiche della crisi sanitaria non sono stati soltanto i giovani: nel solo mese di dicembre 2020 sono andati in fumo 101mila posti di lavoro, 99mila dei quali occupati da donne. E per quelle che non sono state licenziate, spesso lo smart working ha costituito un extra rispetto al già pesante carico di lavoro domestico che gravava interamente sulle loro spalle.
A dare voce al malcontento di tutti gli esclusi da bonus e ristori, il gruppo dei “lavoratori invisibili”: tutti quegli addetti ai supermercati, autisti, bagnini e operai di aziende di servizi che, pur essendo occupati di fatto nell’indotto del settore turistico, vengono assunti con tipologie contrattuali che non riconoscono loro il diritto di accesso agli aiuti economici statali. «Sono paletti – secondo le rappresentanti del gruppo Hellen Grendene e Loretta Nesto – di natura essenzialmente burocratica, che escludono in maniera totalizzante e senza alcuna logica reale una grande fetta dei lavoratori stagionali».
E le conseguenze della cattiva gestione si sentono: «C’è chi, ritrovandosi improvvisamente senza alcun reddito, a 50 anni si è visto costretto a tornare a vivere sotto lo stesso tetto dei propri genitori anziani». E, ancora più drammatico, c’è chi arriva a una tale disperazione da non vedere altra via d’uscita se non il suicidio. È successo per esempio a Omar Rizzato, imprenditore padovano dello spettacolo che, dopo un anno di inattività, si è tolto la vita all’interno della sua stessa azienda. Ed è capitato a Riccardo Borghi, imprenditore ferrarese, che si è ucciso nel deposito della sua ditta a causa delle insostenibili condizioni economiche cui era costretto da più di un anno. «Siamo al limite, molti stanno perdendo la speranza – aggiungono Grendene e Nesto -. Dove è finita la dignità del lavoro?»
Su un punto i “lavoratori invisibili” hanno le idee chiarissime: la pandemia non ha fatto altro che inasprire una situazione già presente, dilatando il divario tra i lavoratori garantiti e quelli di “serie B”. «La colpa è senz’altro delle istituzioni, che hanno interpretato in maniera troppo superficiale le mille sfaccettature dei contratti lavorativi», continuano le due rappresentanti dei “lavoratori invisibili”. Ma la lotta per cambiare la situazione non può che essere una responsabilità condivisa: «L’unico modo per poter uscire a testa alta da questa situazione di sconforto è unirci e fare massa critica.»
Per farlo, i “lavoratori invisibili” hanno una proposta: «Il colore del partito non ha importanza, quando l’obiettivo è lo stesso: abbattiamo i muri ideologici che ci separano e uniamoci nella causa comune. Noi “lavoratori invisibili” non troviamo alcuna incongruenza nel contemporaneo appoggio da parte di esponenti di Lega e di Rifondazione Comunista: accettiamo il sostegno di tutti quelli che vorranno tendere una mano.»
Nonostante tutto, nell’ombra si intravede uno spiraglio di speranza: c’è chi ha deciso di accettare la sfida e scommettere tutto sul proprio progetto. Fabio Franzolin, che ha deciso di aprire a Padova la sua “Gustoteca” in piena pandemia, ne sa qualcosa: «È una scommessa rischiosa, ma abbiamo voluto essere ottimisti e puntare tutto sul nostro successo». La strada per la ripresa economica è però ancora lunga, e per il momento il ritorno alla normalità rimane una prospettiva solo potenziale. Una cosa è certa: nulla è già scritto, la partita dipende dalle mosse dei prossimi mesi.
Elena Ravera su VeneziePost