Covid, riparte anche il settore della cultura: ma è tutto in salita

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Teatro comunale di Vicenza autonomia
Teatro comunale di Vicenza

Con la reintroduzione della zona gialla dal 26 aprile è finalmente giunto, anche per il settore culturale, il momento di tornare in attività. Ma pesano ancora le limitazioni: con la capienza delle sale al 50% si strappano meno biglietti, la proroga del coprifuoco influisce sulle programmazioni e il poco anticipo delle comunicazioni rende difficile organizzarsi. Così la data del 26 rischia di creare aspettative facilmente disattese.
Con la ricomparsa della tanto agognata zona gialla, prevista a partire dal 26 aprile, è finalmente arrivato il momento di pianificare le riaperture anche per il settore culturale. A risvegliarsi da quello che potremmo definire un “coma indotto” saranno finalmente anche i cinema e i teatri, su cui le chiusure sono pesate per più di un anno ormai, al netto delle fugaci riaperture estive. Così come, dal 1 luglio, avranno il via libera i festival, con regole e capienze ben definite in modo da rispettare i protocolli sanitari. Le “buone novelle” tanto attese portano però con sé delle difficoltà non da poco, indici delle problematiche della gestione a livello governativo dell’emergenza e delle potenzialità forse limitate di questo periodo di ripartenza.

La cultura necessita infatti di tempi che pare non siano stati compresi dal Governo. Tempi richiesti per la programmazione di un cartellone, per il coinvolgimento di artisti internazionali, per la pianificazione delle date di un’esposizione o di uno spettacolo e dunque per la richiesta delle opere così come per l’ingaggio dei lavoratori. È difficile, con soli dieci giorni di anticipo sulla data di partenza, edificare un programma ricco e soddisfacente, che possa far tornare voglia al pubblico di prendere parte alla vita culturale della propria regione – o del proprio paese –, e garantirne la riuscita. Così come, anche se tale organizzazione venisse messa in piedi, potrebbe essere poco il margine di ricavi per un cinema o per un teatro che strappa la metà dei biglietti (metaforicamente, s’intende; i biglietti cartacei saranno probabilmente banditi finchè in un’era post covid non saranno abbastanza “vintage” da tornare di moda). Lo stesso numero di lavoratori che riceveranno una chiamata di ingaggio sarà ristretto, a causa della riduzione del pubblico così come dei servizi da poter offrire – uno fra tutti quello del cibo e delle bevande nei cinema, che rimarrà off limits –. Il rischio che si corre alla luce di queste difficoltà, è che la data del 26 si trasformi in una promessa che non può essere mantenuta. La tentazione potrebbe essere di puntare sulla data simbolica con un grande evento, per poi disattendere le aspettative nelle settimane successive, con programmi deboli che non faranno grande la stagione.

Le sale cinematografiche sono state fra le prime a chiudere nel primo lockdown, e hanno pazientemente atteso un “via libera” che solo ora giunge a concretizzarsi. Tradotto in numeri, il periodo di chiusura nel 2020 è costato all’incirca 460 milioni di incassi, con un calo di oltre il 70% del box office annuale. Al di là delle spontanee esultanze di fronte alla possibilità di riprendere le attività, gli operatori del settore non nascondono alcuni dubbi sullo scenario che si profilerà nei prossimi mesi. La proroga del coprifuoco impone ad esempio che gli spettacoli siano organizzati in orario pomeridiano, in controtendenza rispetto agli afflussi del pubblico nelle sale, concentrato tendenzialmente negli orari serali. Sarà difficile anche competere con l’offerta delle piattaforme di streaming digitale: certo, andare al cinema rappresenta un’esperienza ben più completa e gratificante, ma «se i film già pronti ad uscire temessero un flop al botteghino e volessero rimandare l’uscita a tempi più certi, gli schermi potrebbero non avere nulla di nuovo da offrire», sottolinea Giuseppe Longo, direttore dei due Kinemax di Monfalcone e Gorizia, anticipando che il fenomeno si sta già riscontrando.

Anche le poltrone dei teatri sono rimaste a lungo vuote, ma le produzioni non si sono arrestate del tutto, e gli stabili non sono rimasti disabitati a lungo. Molti palchi sono stati solcati anche in periodo di chiusure, ospitando prove ed esibizioni offerte al pubblico in versione digitale. A risentire più duramente delle limitazioni dell’ultimo anno sono stati i lavoratori dello spettacolo, che nella maggior parte dei casi lavorano a chiamata, con contratti a scadenza spesso ravvicinata e ingaggi specifici. Ma non mancano espressioni di fiducia nel comparto: il direttore de La Fenice, Fortunato Ortombina, afferma che il teatro «non si farà trovare impreparato e alzerà il sipario il prima possibile», seppure gli incassi non arriveranno probabilmente fin da subito.

Ma la cultura si alimenta e compone anche di iniziative “esterne” rispetto ai suoi luoghi istituzionali, come i festival, anch’essi in pausa ormai da un anno. Per quanto questo tipo di iniziativa abbia trovato (parziale) sfogo nel virtuale, di certo la dimensione della presenza fisica, dell’interazione con il pubblico e del contesto immersivo del festival non potevano essere dimenticati. Spesso il festival è infatti l’occasione per visitare una città o per scoprire un territorio con persone che condividono i nostri stessi interessi. È per questo che, già da qualche mese, chi si occupa dell’organizzazione di questi eventi è tornato alla carica pianificando incontri in presenza – che possono comunque contare sull’integrazione offerta dal digitale. Un esempio è rappresentato da Bookcity Milano, che pianifica le sue iniziative dal 17 al 21 di novembre alternando incontri fisici a iniziative online, per non rinunciare a quella fetta di pubblico che non potrà essere ospitata visti i posti limitati, garantendo però a chi volesse prenotarsi di godersi l’esperienza dal vivo.

Maria Gaia Fusilli su Veneziepost.it