Coviello rifiuta difesa per ennesimo processo a VicenzaPiù, Langella: PCI Veneto solidale con chi ha la schiena dritta e lo spirito di Assange

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Giornalismo: bavaglio con carcere anche per Giovanni Coviello fotografato davanti al tribunale di Vicenza
Giornalismo: bavaglio con carcere anche per Giovanni Coviello fotografato davanti al tribunale di Vicenza

Egregio Direttore, ho letto le sue dichiarazioni spontanee lette durante l’udienza del processo penale che la vede imputato («Coviello rifiuta la difesa all’ennesimo processo intentato contro VicenzaPiù: “urge la legge contro le liti temerarie”»). Innanzitutto mi sembra logico e doveroso esprimerle la mia massima solidarietà.

Qualcosa, però, è necessario rimarcare. Viviamo in un sistema sempre più ostile a chi vuole fare della verità uno stile di vita. Ormai quello che si legge nei vari organi di informazione (mi riferisco soprattutto a quelli considerati “importanti”) è standardizzato. Non si riesce più a distinguere l’articolo di un giornale da quello di un’altra testata. Sembra che si fotocopino delle veline per tutti uguali.

Le notizie scomode si tacciono, vengono coperte da una coltre di fumo che le fa sparire o diventare ininfluenti. Pensiamo alla questione della sicurezza nei luoghi di lavoro, ai morti per lavoro, alle malattie professionali … tutto è ovattato, messo in disparte, “non degno di nota”. Eppure è una delle piaghe che infestano il sistema nel quale viviamo, ma pochi o nessuno mette in risalto la cosa se non in casi eccezionali, quando non si può tacere, quando la morte “fa notizia”.

Si prenda ad esempio il “caso” Marlane-Marzotto con gli oltre cento lavoratori morti di varie tipologie tumorali e l’inquinamento “eccessivo” (si può usare questo termine o risulta per qualcuno sconveniente?); ebbene, nessun “grande” organo di informazione ha seguito e segue la vicenda con la dovuta attenzione.

Solo VicenzaPiù grazie a lei, Giovanni Coviello, (e qualche altra testata indipendente calabrese) ha dato voce a chi perseguiva la “strana utopia” di ottenere giustizia. L’ha fatto con la testardaggine e la passione di chi ha a cuore la verità, qualunque essa sia. Magari scomoda, difficile, per molti rivoluzionaria ma quella reale, vera. Quella verità che accende le lampadine del dubbio nelle menti più aperte e attente. L’azione contro chi persegue questa verità (e che, forse, per chi ha il potere – piccolo o grande che sia – eccede nel “politicamente scorretto” o nella sua cruda esposizione) è sempre qualcosa di antidemocratico.

Sono decisioni e azioni di chi ha il potere politico ed economico che corrodono la società, che ne minano le basi. Guarda caso questi attacchi a chi fa inchieste e le porta avanti, a chi apre i vasi di pandora, sono portati avanti da chi, diciamo così, è timido se non ostile ai valori e ai principi costituzionali. Soprattutto al principio di libertà di diffondere le notizie vere. La frase di Lia Sartorii giornalisti bisogna denunciarli, perché tra l’altro non hanno neanche i soldi per pagarsi l’avvocato” da lei riportata è la dimostrazione plastica e tangibile di una strategia che mira a cancellare qualsiasi voce di dissenso. Con le debite proporzioni, ma poi non tanto, il suo caso è simile a quello di Assange e sarebbe utile (non tanto e non solo per lei) che avesse la dovuta rilevanza. Cosa che ritengo anch’io assai improbabile.

Comunque volevo ringraziarla per la lotta che sta conducendo e per le dichiarazioni spontanee che dimostrano la sua integrità, il suo mantenere la schiena diritta senza abbassare la testa e tenere il cappello in mano di fronte al potente di turno. Come ci hanno insegnato le grandi persone (mi riferisco, per fare un paio di esempi, a Giuseppe Di Vittorio e a Quirino Traforti) che hanno combattuto contro il fascismo e che, con il loro sacrificio e il loro sangue, hanno scritto la nostra Costituzione.

Bisogna continuare a lottare. Non possiamo fermarci. Facciamolo per noi e per i dimenticati, chiunque non ha voce in questo sistema spaventoso dove chi è più ricco può comandare e decidere cosa si può dire e cosa di deve tacere.

Giorgio Langella (segretario regionale veneto PCI)