È passato qualche anno dal disastro che ha coinvolto un considerevole numero di banche italiane, tra le quali le due venete (Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza) che, con il loro fallimento, hanno impoverito migliaia di risparmiatori e famiglie (revisione in data 11 ottobre 2020 del testo troncato subito dopo la parte iniziale e non in fondo per un errore tecnico di cui ci scusiamo per cui ne abilitiamo ora la lettura totale anche ai non sottoscrittori del Vicenza Freedom Club per i contenuti Premium, ndr).
Con il passare del tempo si è sempre più radicato il convincimento che il default della banca montebellunese (al quale intendo riferirmi, in via esclusiva, per mancanza di mie specifiche e dirette conoscenze delle dinamiche degli altri Istituti) sia stato il frutto soprattutto di dissennate manovre dei grandi “decisori” (Bankitalia in primis e BCE ) e non di una cattiva gestione riconducibile alla sua governance, come si è voluto far credere.
E ciò, al malcelato fine di dirottare la rabbia dei tanti azionisti, che, strumentalmente, sono stati fatti passare per speculatori, anziché risparmiatori in una banca ” popolare”, che è sempre stata il salvadanaio di economie domestiche, di famiglie e di lavoratori. In sostanza, pacifico essendo che gli azionisti sono stati “truffati” (tanto che questo è, ormai, il loro appellativo nel linguaggio comune, ormai recepito anche dalla stampa) il problema è quello di individuare l’eventuale nesso di causalità fra il ruolo avuto dai decisori del sistema bancario ed il danno ad essi recato.
E, se si dovesse accertare che le maldestre manovre del sistema hanno contribuito a squassarlo e a condurre nel baratro alcuni istituti bancari, tra cui Veneto Banca, non potrebbe esserci alcun dubbio circa il diritto dei truffati di essere risarciti per l’intero loro danno.
Questa è l’opinione non solo mia, ma anche di tanti cittadini che credono ancora nella Giustizia e che invocano l’applicazione del fondamentale principio dell’ordinamento di ogni Paese civile, secondo cui chiunque cagioni ad altri un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo (così si esprime l’art. 2043 del c.c.).
Ed è anche convincimento diffuso che, quantomeno nel caso del default dell'istituto di Montebelluna, la Banca d’Italia debba essere destinataria di non poche censure non solo per omesso controllo ma, soprattutto, per una serie di comportamenti opachi e trasversali, per abusi di poteri ispettivi, per interventi strumentali, per colpevoli danneggiamenti reputazionali ecc. Troppe cose sono rimaste inspiegate (come – a livello locale – l’opaca vicenda del programma di fusione tra BPVi e VB) e meritano urgente approfondimento.
Certo è, comunque, che, se si volesse accertare che le manovre di sistema, magari perché miopi o maldestramente eseguite, hanno finito per sacrificare alcune banche (sane o, comunque, recuperabili), allora la strategia risarcitoria dovrebbe essere completamente ridisegnata.
In questa prospettiva, suggerisco di focalizzare l’attenzione sui seguenti significativi eventi. Si deve partire dal 2009, anno in cui Veneto Banca è stata sottoposta a visita ispettiva da parte di Bankitalia (dal gennaio al maggio), conclusa positivamente (parzialmente favorevole nel linguaggio tecnico); tant’è che solo pochi mesi dopo, Bankitalia ha autorizzato tre operazioni straordinarie:
1) l’acquisto, da parte di VB, del 50,67% di banca Apulia (autorizzazione del 23 ottobre 2009)
2) l’acquisto del 53,12% del capitale di Carifac (autorizzazione del 30 ottobre)
3) la fusione di Cofito in VB (31 dicembre 2010) che, quindi, è diventata socia di maggioranza di BIM (Banca Intermobiliare).
Dopo queste autorizzazioni e a distanza di soli due anni dall’ultima verifica ispettiva (quella relativa a BIM), VB è stata nuovamente ispezionata e, dal gennaio all’aprile 2013, sono stati verificati i crediti deteriorati ed i relativi accantonamenti; ancora una volta, l’esito è stato positivo e gli ispettori hanno rilevato una situazione di normalità; il relativo verbale è stato consegnato il 23 luglio 2013. Ma, immediatamente dopo e quasi contestualmente alla cessazione di quella prima ispezione, Bankitalia con lo stesso team ispettivo, ha dato corso a un’altra ispezione, ultimata il 9 agosto dello stesso anno.
Questa volta – inaspettatamente e sorprendentemente – il giudizio è cambiato radicalmente ed è divenuto “in prevalenza sfavorevole”: in pratica, c’è stata un’ispezione unica, senza soluzione di continuità, svolta in due tempi dal medesimo team, che è giunto a conclusioni contrastanti, posto che, mentre nel primo rapporto la verifica dei crediti deteriorati e dei relativi accantonamenti ha avuto esiti positivi (in quanto espressione di una normalità gestoria), nel secondo sono stati rilevati problemi concernenti la gestione del credito, la governance e il finanziamento del capitale sociale.
Quello che qui deve sorprendere non è tanto, in sé, il contenuto del giudizio finale espresso dagli ispettori, quanto la repentinità, davvero inspiegabile, del radicale suo mutamento: si pensi che la seconda visita ispettiva è terminata soltanto 17 giorni dopo la consegna del primo rapporto che era favorevole! Il medesimo gruppo ispettivo, in pochissimo tempo, ha rivisitato lo stesso soggetto, appena ispezionato, stravolgendo il proprio recentissimo giudizio.
È normale tutto ciò? Come interpretare, allora, questa sorprendente, ulteriore e immediata esigenza accertativa e questo totale revirement (mutamento repentino, ndr)? Il sospetto dell’inizio di una opaca manovra ci sta tutto.
E, infatti, da allora, è cominciato il calvario: con lettera di disposizione del governatore Visco, datata 6 novembre 2013, Banca d’Italia ha comunicato che tutto il CdA doveva essere rimosso contestualmente, nell’assemblea prevista per l’approvazione del bilancio 2013 e che, sempre entro quell’avvenimento, Veneto Banca avrebbe dovuto pervenire ad un’operazione di fusione con altro intermediario di adeguato standing (poi indicato in Popolare di Vicenza). Il tutto è avvenuto in un contesto surreale, in tempi rapidissimi, con disposizioni perentorie, emesse senza neppure attendere le controdeduzioni della banca interessata: veri e propri diktat, sorti su basi incerte, fragili e frutto di accertamenti contradditori, superficiali e frettolosi.
Così è cominciato il tragico percorso delle banche venete, che ha lasciato dietro a sé lacrime e sangue.
Si consideri anche il contesto temporale di tali accadimenti: estate 2013, quando è stata, presumibilmente, concepita, da parte di Bankitalia, una strategia in vista del passaggio delle banche significant alla vigilanza BCE, previsto per il 2014.
Essendo noto che uno degli obbiettivi della strategia europea era proprio quello di ridurre il numero delle banche italiane, considerato eccessivo, è verosimile che in Bankitalia sia maturata la soluzione di accorpare in BPVi le banche di Marostica, Ferrara, Montebelluna, Arezzo (e forse altre) in modo da inglobare il problema di BPVi in un unico grande Istituto, da affidare a Zonin. Basta leggere le sue dichiarazioni, al riguardo, rilasciate, nel tempo e a più riprese, alla stampa.
L’idea della fusione (con Pop. Vicenza in posizione aggregante) è stata, però, fortemente avversata non solo da Etruria (che è stata perciò commissariata), ma anche da Veneto Banca, che si considerava più solida della concorrente vicentina (come poi gli stress test europei avrebbero dimostrato).
E’ allora forte il sospetto che l’inspiegabile revirement attuato dalla Vigilanza con la seconda ispezione del 2013 sia stato proprio un atto di forza, diretto a indebolire Veneto Banca e il suo CdA, per indurla ad andare nelle braccia di Popolare Vicenza. Infatti, secondo Bankitalia, il vero problema di VB era proprio e solo la sua governance: lo ha affermato candidamente proprio il Capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo, a pag. 36 del verbale della commissione di inchiesta parlamentare sulle banche del 19 dicembre 2017, laddove ha dichiarato: “il tema non è quello relativo alla tenuta patrimoniale, alle sofferenze, ecc., ma quello del conflitto di interesse, delle erogazioni in conflitto di interesse al CdA …”
Quindi, Bankitalia ha preteso la cacciata dell’intera governance solo per supposte operazioni in conflitto di interesse, che, poi, altro non erano che normali affidamenti fatti a consiglieri di amministrazione, nel pieno rispetto dei dettami dell’art. 136 del TUB. E, per queste operazioni del tutto fisiologiche (anche Zonin era affidato in BPVi senza che ciò abbia mai destato scalpore) Bankitalia ha preteso il cambio dell’intero CdA e la forzata fusione in BPVi, che appena un anno dopo, a seguito degli stress test europei, ha dimostrato di essere più debole e problematica di Veneto Banca.
E, allora, la domanda ossessiva è sempre la solita: senza queste evidenti distorsioni, senza questi continui interventi che hanno minato la credibilità della banca, senza le tappe forzate per portarla ad una innaturale e repentina trasformazione in società di capitali (dopo oltre 130 anni di vigenza del sistema delle banche popolari), con la previsione di una successiva immediata quotazione in borsa, senza la frettolosa legge 3/2015, senza gli accadimenti successivi al 2016, con l’aumento di capitale sottoscritto dal solo Fondo Atlante (come da programma e da strategia pensata in sede europea ed eseguita diligentemente da quel Cristiano Carrus che, da direttore generale dell’istituto, dichiarava pubblicamente di voler ostacolare la sottoscrizione di altri investitori, essendo la sua banca null’altro che uno zombie) e senza il subentro finale di Banca Intesa Sanpaolo: senza tutto ciò Veneto Banca, di fatto commissariata da Bankitalia, sarebbe davvero "fallita"? C’è mai stato, da parte della cosiddetta Authority, un qualche rispetto per gli azionisti? Per cacciare Consoli & c. era proprio necessario mandare sul lastrico migliaia di risparmiatori e famiglie?
E poi non si dimentichi il ruolo opaco svolto dalle Procure di Treviso, in primis, e di Roma. Quest’ultima aveva rivendicato la propria competenza ad indagare ed aveva chiesto che quella di Treviso le trasmettesse tutti gli atti, come è avvenuto: salvo scoprire, dopo oltre due anni (e per effetto della sentenza di un giudice), che il capo di imputazione sul quale Roma aveva rivendicato la propria competenza non era neppure reato.
Ma, nel frattempo, il danno reputazionale di Veneto Banca era schizzato alle stelle; l’Istituto è rimasto sulle sabbie mobili per troppo tempo, in un clima di pressioni, di sospetti, di polemiche, di tensioni, di accuse, di depistaggi …
E neppure si può dimenticare la spettacolare perquisizione ordinata dalla Procura romana (il cui capo di allora, dott. Pignatone, andato in pensione, ha ottenuto l’incarico, in Vaticano, di Presidente del Tribunale dello Stato Vaticano, seguito, guarda caso, proprio dal dott. Carmelo Barbagallo, nominato alla direzione dell’autorità di antiriciclaggio del Vaticano) ed eseguita, a mercati aperti, dalla Guardia di Finanza il 17 febbraio 2015, che ha impegnato oltre 100 agenti e che ha bloccato per ore l’importante strada statale antistante la sede di Veneto Banca.
Una simile dissennata iniziativa, ad altissimo impatto mediatico, che ha avuto il sapore di una punizione, ha frantumato quel che restava della reputazione di Veneto Banca ed ha inciso fortemente sulla liquidità e sui giudizi delle società di rating. Eppure, appena due mesi prima (ottobre 2014), Veneto Banca aveva brillantemente superato gli stress test BCE! E, dunque? In questo disastro, si può ancora pensare che Bankitalia non possa essere ritenuta responsabile?
E non è sorprendente che il C.T. della Procura di Roma sia stato indicato proprio da Bankitalia, pur essendo ovvio che egli sarebbe stato poi restio a censurare le disinvolte iniziative del suo datore di lavoro ?
L’attività svolta a Treviso da questo C.T. del PM romano, Luca Terrinoni, merita un’attenzione a parte e mi riservo di farne oggetto di specifica e separata riflessione.
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