La Procura di Treviso ha chiesto lo stato di insolvenza per Veneto Banca. La richiesta è stata firmata nelle scorse ore dal pubblico ministero Massimo De Bortoli, titolare del filone trevigiano dell’inchiesta sull’istituto di credito. Si tratta di un passo importantissimo perché, se il “fallimento” della banca verrà dichiarato dal tribunale, i risparmiatori vedranno aprirsi nuove possibilità per avere giustizia; gli inquirenti potranno infatti procedere anche per bancarotta, reato grave con tempi di prescrizione lunghi.Dottor De Bortoli quante sono le denunce per truffa su cui sta indagando la Procura di Treviso?
«L’altro ieri erano 2.066, ora ne sono arrivate ulteriori 400, circa, da Roma. E così siamo all’incirca a 2.500. Altre continuano ad arrivare, da altre Procure d’Italia. E c’è anche qualcuno che deposita la querela adesso».
Non sono scaduti i termini?
«Se ipotizziamo le aggravanti, il reato diventa procedibile d’ufficio».
Qual è il danno complessivo al momento ipotizzabile?
«Lo abbiamo stimato finora in oltre 200 milioni di euro. Notevolmente sopra i 200 milioni».
Le indagini per questo tipo di reato coinvolgono anche i responsabili di filiale oppure l’acceento riguarda esclusivamente i vertici dell’istituto?
«Al momento, formalmente, procediamo contro ignoti. Si indaga ad ampio raggio, sia nei confronti dei vertici della banca, sia valutando le posizioni dei dirigenti generali, dei capi area, dei direttori di filiale, seppur al momento non singolarmente individuati. Più avanti, con il proseguimento delle indagini, restringeremo l’ambito soggettivo. È difficile però dimostrare che i dipendenti erano a conoscenza delle reali condizioni finanziarie della banca, anche perché molti di loro avevano acquistato le azioni dell’istituto, perdendo di conseguenza tutto il denaro investito. E la truffa, per essere contestata, presuppone che chi ha venduto le azioni fosse consapevole che il titolo aveva un valore effettivo inferiore».
Oltre che per truffa per quali altre ipotesi di reato state indagando?
«Falso in bilancio, falso in prospetto, falso nelle relazioni delle società di revisione».
Per questo tipo di reali è possibile procedere a sequestri?
«Ora è prematuro valutare tale possibilità, essendo le indagini soltanto agli inizi. Va tenuto presente che siamo potuti partire con un certo ritardo: le prime querele erano arrivate già nel 2015 e noi abbiamo iniziato le indagini nel 2017. Questo perché i relativi fascicoli erano alla Procura di Roma che, all’esito delle indagini, ha ritenuto di procedere soltanto per i reati di ostacolo alla vigilanza e di aggiotaggio restituendoci i procedimenti per le truffe».
State indagando anche sulla denuncia per truffa fatta dall’ex presidente Bim D’Aguì contro Consoli?
«Si, ma sono filoni separati. C’è un fascicolo a parte, anche se la vicenda è strettamente connessa».
Duemilacinquecento querele sono davvero molte, potrebbe essere affiancato da un altro magistrato?
«Allo stato non ne ravviso la necessità, ma qualora in futuro gli adempimenti diventassero molto più consistenti, allora, dovrebbe essere valutata la possibilità di un affiancamento. Tuttavia questa è un’ipotesi in prospettiva e non è detto che sia assolutamente necessario».
C’è un pool di investigatori dedicati?
«Si, ci sono quattro investigatori della Guardia di Finanza che si avvalgono anche della collaborazione del Nucleo di polizia tributaria di Treviso. Al momento non sono stati nominati consulenti, più avanti è probabile che dovremo ricorrere ad essi per affrontare gli aspetti più tecnici della vicenda».
Che tempi ci sono?
«Impossibile fare previsioni».
Ma c’è il rischio prescrizione?
«Il rischio di prescrizione è sempre incombente, ma in questo caso non imminente. La truffa si è consumata nel momento in cui le azioni hanno perso anche formalmente il loro valore, è lì che si è verificato il danno per le persone offese. E quindi siamo al 2014, non prima».
La Procura di Treviso procederà, come prospettato, alla richiesta dello stato di insolvenza?
«La richiesta è già stata firmata e depositata in tribunale che dovrà svolgere l’attività istruttoria per verificare se c’è o meno l’insolvenza. Dovrà in particolare sentire i liquidatori della società e la Banca d’Italia, secondo la procedura prevista dalla legge».
Quali sono gli elementi che l’hanno convinta a firmare la richiesta?
«Una serie di elementi che ho esposto nella mia richiesta. La Cassazione, che si è già occupata altre volte dell’insolvenza di istituti di credito, ha sempre affermato che sotto tale profilo è rilevante il deficit patrimoniale. Non vi è dubbio, nel caso di Veneto Banca, che esso ci fosse. La dimostrazione dello stato di insolvenza è rappresentata inoltre, a mio avviso, dall’incapacità di Veneto Banca di pagare il 21 giugno 2017 il bond relativo alle obbligazioni subordinate emesso 10 anni prima. Tanto che il governo ha dovuto sospendere il rimborso dello stesso. Centocinquanta milioni di euro che la banca non è stata in grado di pagare. L’insolvenza deve essere verificata al momento della messa in stato di liquidazione, vale a dire il 25 giugno 2017 e il mancato pagamento è del 21 giugno. C’era una situazione di deficit che ho evidenziato e che emergeva dal bilancio. E poi se la Banca Centrale europea ha affermato che Veneto Banca non poteva proseguire la sua attività, credo che lo abbia fatto in considerazione dello stato di dissesto della società e della sua incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni. Soprattutto questo, a nostro avviso, comprova l’insolvenza di Veneto Banca, poi chiaramente sarà il tribunale di Treviso a decidere».