Agli eventi degli ultimi giorni gli italiani reagiscono in maniera differente. Sono in tanti a essere felici di tornare a votare. C’è chi lo vive come un momento di riscatto, a rimedio dell’insoddisfazione accumulata.
Forte è il bisogno di voltare pagina.
Ma, si sa, le elezioni non hanno mai portato a reali stravolgimenti.
Si punta sul cambiamento sbagliato, perché i sondaggi distraggono e fanno dimenticare che è il coraggio delle idee a fare il candidato migliore. Ciò che serve sono programmi davvero innovativi, capaci di coinvolgere attivamente i cittadini e di creare città radicalmente differenti, sul piano della sicurezza sociale, della vivibilità e della sostenibilità ecologica.
Non servono volti nuovi, ma capacità di pensare in maniera nuova, di immaginare un futuro diverso. Serve capacità di andare oltre il desiderio di affermazione personale o di partito.
L’emergenza pandemica ha dimostrato che, in nome del bene comune, è possibile adottare provvedimenti incisivi e che il motore della solidarietà può portare grandi benefici, se attivato nel modo giusto. L’arresto forzato delle attività ha avuto delle ripercussioni drammatiche e ha portato alla lacerazione del tessuto economico e sociale, ma non vanno sottovalutati i benefici ricavati dall’ambiente. Acqua e aria sono tornate a essere pulite e la fauna ne ha tratto grande ristoro. Un segnale che nulla è irreversibile e che le sorti possono ancora essere cambiate, intervenendo con ragione e ragionevolezza.
L’approccio avuto all’epoca non è più stato replicato per far fronte ad altri problemi. Tutto preoccupa meno del virus. Se ne parla, ma non allarma abbastanza, ad esempio, il dramma climatico. Sono tante le fragilità ignorate.
Ciò che è più difficile scardinare è la gabbia di una mentalità pigra. Ci sono ancora persone che ci vogliono credere, che sentono forte la necessità di recuperare la fiducia, ma la Rivoluzione è sempre più bella quando a farla sono gli altri. Il sacrificio pesa. E, invece di portare al risveglio delle coscienze e a sollecitare la reazione, il disagio avvilisce, mortifica e alimenta il disfattismo.
Dalle difficoltà possono nascere importanti opportunità. Ribaltare le sorti, propria e altrui, può dare immense soddisfazioni.
A soli quattordici anni, Sergio Marchionne si trasferì in Canada, dove viveva una zia. Fu lì che iniziò il percorso di formazione che lo portò, tra l’altro, alla laurea in filosofia e in giurisprudenza. I suoi colleghi ricordano la forza di volontà di quando giovanissimo lavorava come cassiere in banca. Decise sempre da sé i propri obiettivi, oggi invece forzatamente imposti ai giovani da genitori che coltivano egoistiche ambizioni.
Quando Marchionne conobbe Agnelli, non aveva alcuna competenza nel settore automobilistico, eppure si trovò a gestire un debito finanziario di circa ventidue miliardi di euro. All’epoca la Fiat era in balia del potere delle banche. Fu Marchionne a cambiare davvero le cose. Raccolse nell’attività dirigenziale diverse funzioni. In quattro anni si concentrò sul taglio dei costi e su una nuova gestione, valorizzando il ruolo di ciascuno, stravolgendo le gerarchie, sostituendo le prime linee manageriali, affidando alla dirigenza più funzioni. Aveva uno stile tutto suo, diretto e informale. Parlava con tutti, dall’operaio al sindacalista fino alla proprietà dell’azienda. Non aveva schermi, perché, diceva, l’azienda è fatta da tutti e quindi, per capire cosa fare, il manager non si può chiudere nella sua stanza dei bottoni e sciogliere da solo i nodi di una realtà complessa, della quale quella economica è soltanto una componente, certo meno importante di quella umana. Mostrò sensibilità e voglia di stabilire un patto comune per salvare un’azienda che dava milioni e milioni di posti di lavoro.
Marchionne riuscì, partendo da una situazione estremamente complicata. Riuscì, con le sue forze, perché capì che crederci è un’opzione necessaria.
Dimostrò, alla fine, che affrontare missioni impossibili porta a conoscere meglio soprattutto se stessi.
Sulla stessa lunghezza, Meritocrazia cerca di superare le difficoltà di un contesto poco trasparente e di vincere la partita puntando sulla indipendenza. Non si accontenta di cambiare le persone, scegliendo in odio ad alcuni o per simpatia verso altri. Crede nei programmi e nella forza delle idee.
Sa che, solo inseguendo la verità e guardando alla realtà in modo lucido e disincantato, è possibile riacquisire consapevolezza. E votare con coscienza e responsabilità.
Sa che serve crederci, e perseverare, per raggiungere l’obiettivo.