Crepacci sulle Dolomiti, Arpav: caldo di agosto ha accelerato la fusione, ma neve a settembre

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Il fronte del ghiacciaio della Marmolada in diverse epoche
Il fronte del ghiacciaio della Marmolada in diverse epoche

Le temperature della prima parte dell’estate – è scritto in un report dell’Arpav – con un giugno tra i più freschi dal 2001 e la seconda decade di luglio la più fredda da luglio 2000, hanno mantenuto ancora i ghiacciai prevalentemente ricoperti di neve invernale, incrementata dalle nevicate in quota di luglio. Dalla fine del mese in poi, eccezion fatta per l’episodio nevoso del 4-5 agosto con 40 cm di neve nelle Alpi centrali a 3000 m, ben 19 giornate hanno fatto registrare temperature in quota oltre la norma (periodo 26 luglio-23 agosto). Il lungo periodo caldo di agosto ha accelerato la fusione del manto nevoso residuo, evidenziando numerosi crepacci sulle Dolomiti

La fusione è stata anche favorita dalla presenza di un manto nevoso poco candido e ricco di pollini, polveri e alghe verdi superficiali (Chlamydomonas nivalis) che danno una colorazione rosso-vinaccia alla neve.

Conseguenza della fusione del residuo manto nevoso i numerosi crepacci, evidenti in agosto sui ghiacciai delle Dolomiti, anche in considerazione delle dimensioni ridotte delle masse glaciali, con un aumento del rischio per gli alpinisti se non adeguatamente accompagnati e attrezzati.

Data la dimensione ridotta dei ghiacciai delle Dolomiti è sufficiente un confronto visivo fra foto di diverse epoche, per accorgersi dei mutamenti in corso, con nevicate meno frequenti in primavera e temperature estive più calde che favoriscono la fusione della neve e del ghiaccio. La foto mostra la fronte del ghiacciaio della Marmolada, la parte più bassa della lingua glaciale, in diverse epoche sulla base di foto storiche. La linea rossa continua del 2020 delimita una fronte molto arretrata, anche rispetto alla stagione 2015.

La risorsa idrica nivale

Questa situazione ha anche una ricaduta sulla disponibilità della risorsa idrica nivale rilasciata gradualmente dai ghiacciai durante la tarda primavera e l’estate, specie nelle Alpi centrali e occidentali dove gli apparati sono più grandi. Nelle Dolomiti, dove la fase di regressione e assottigliamento dei ghiacciai è in forte accelerazione già dalla fine degli anni ’80, le conseguenze sulla disponibilità idrica sono meno impattanti. Per questo il monitoraggio del manto nevoso durante la primavera diventa di vitale importanza per una corretta gestione della risorsa idrica.

L’attività di Arpav

ARPA Veneto – Centro Valanghe di Arabba, in collaborazione con gli altri soggetti preposti, cura il monitoraggio della risorsa idrica nivale fin dal 2005, fornendo gli aggiornamenti nel corso dell’inverno e della primavera all’Autorità di bacino distrettuale delle Alpi Orientali.
La rete di monitoraggio Arpav è formata da 19 stazioni automatiche in quota e da 21 stazioni tradizionali. La presenza di osservatori che operano con strumentazione portatile consente la misurazione di alcuni parametri che riguardano le caratteristiche interne del manto nevoso, ancora oggi non misurabili in modo automatico.
La principale banca dati della neve del Veneto inizia nel 1984 ma viene curato anche l’aspetto storico su un periodo più lungo (1920-2020) in collaborazione con altri enti e con uno sguardo a tutta la catena alpina.

Neve a settembre

L’episodio perturbato di fine agosto ha determinato la ricomparsa della neve già la sera del 31 agosto a 2600-2800 m di quota nelle Dolomiti.
Il 1 settembre quasi tutte le cime si presentano imbiancate di neve. Le nevicate nei primi giorni di settembre non sono anomale. Negli ultimi 10 anni è avvenuto diverse volte: nel 2010 con neve fino a 1600-1800 m il 31 agosto, nel 2020 il 1 settembre con neve a 2200 di quota e nel 2014 a 2400 m di quota, nel 2015 il giorno 4 con neve in quota e nel 2017 con ben 20 cm di neve a Monte Piana il giorno 2 settembre.