Crisanti e Zaia, ormai è scontro totale. Il virologo sul Fatto: “bugie politiche con disprezzo dei morti, speculazioni elettorali, ai giovani messaggi incoerenti”

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Crisanti e Zaia
Crisanti e Zaia

Un nuovo capitolo dello scontro tra Crisanti e Zaia è apparso a tutta pagina in un articolo su Il Fatto Quotidiano in edicola con un’ intervista di Andrea Tornago al virologo che ha usato parole dure contro il Governatore: “Fase 2 senza criterio. La colpa non è certo dei ragazzi in strada

È per tutti il professore del modello veneto, più tamponi per testare i contatti delle persone positive e grande attenzione agli asintomatici. Ha funzionato ma proprio il governatore leghista del Veneto Luca Zaia ha attaccato Andrea Crisanti, ex Imperial College, ora professore di Microbiologia a Padova, per rivendicare i meriti della dirigenza regionale. Cioè suoi.

Per lo staff di Zaia lei è “un numero 10”, grandi giocate senza “fare squadra”.

È una polemica a senso unico. Io l’ho ignorata fino all’ultimo, ma quando vengono dette delle bugie a fini politici, con sprezzo di tutte le sofferenze e dei morti, devo rispondere perché sono indignato. Si vuole riscrivere la narrativa per accaparrarsi un dividendo politico. Zaia dice che in Veneto fin da gennaio c’era già un piano sui tamponi redatto da una funzionaria regionale. Se in Veneto esisteva un piano regionale sui tamponi al 31 gennaio allora mi devono spiegare come mai l’11 febbraio il direttore della Sanità regionale mi ha minacciato di danno erariale perché cercavo di intercettare gli asintomatici che venivano in Italia. Sia chiaro che se non fossi stato fermato, probabilmente le prime infezioni le avremmo intercettate e l’epidemia avrebbe avuto un corso completamente diverso. Chi ha scritto quelle lettere ha una responsabilità precisa. Mi indigna che queste persone tentino di riscrivere la storia.

Abbiamo riaperto quasi tutto, c’è un sacco di gente in giro, ma cosa lo giustifica?

Ci sono meno persone infette, c’è l’uso delle mascherine, la cautela di evitare assembramenti in spazi chiusi. Ma purtroppo queste riaperture sono state fatte senza analisi di rischio. Non siamo in grado di prevedere nulla. Bisognava cercare di capire esattamente quanti sono i casi reali, facendo emergere tutto il sommerso, tutte le persone che telefonano perché stanno male a casa. E invece siamo in mano a guanti, mascherine e bel tempo.

Anche i grandi assembramenti per l’aperitivo non sono d’aiuto.

Sicuramente. Ma non condivido tutta questa esecrazione dei ragazzi che non osservano le disposizioni. Sono vittime di messaggi assolutamente incoerenti: prima che le mascherine non servono, poi che devono essere marcate Ce, poi che possono andare anche senza il marchio e alla fine che van bene anche se te le fai da solo. Ma un ragazzino di 17 anni che deve pensare? Che non servono! E invece, purtroppo, servono. Vuoi fare la riapertura? Compra 500 milioni di mascherine e distribuiscile. Non si può dire: ‘Eh va bè, le mascherine non ci stanno, fate da voi’. E poi ci lamentiamo che i ragazzi non ci credono?

Le mascherine fatte in casa funzionano?

Non lo sa nessuno. Sicuramente le mascherine chirurgiche marcate CE sì. Negli ospedali medici malati sono andati a lavorare infetti, ma indossavano le mascherine come i colleghi e non si è infettato nessuno.

Aprire le frontiere?

Una follia. Senza nessun approccio per tracciare, controllare queste persone, verificare se sono infette rischiamo di mandare all’aria tutto il lavoro fatto finora. Lo trovo veramente irresponsabile.

Il virus Sars-CoV-2 si è indebolito?

No. I virus non si indeboliscono, è una categoria impropria. I virus diventano più o meno virulenti, con una maggiore o minore capacità di creare danno. I virus nella fase iniziale di un’epidemia, come l’attuale, tendono a diventare più virulenti, maggiormente trasmissibili. Tutt’altro scenario.

Perché i medici dicono che è cambiato il profilo dei malati, che sono meno gravi?

Perché la carica virale è diminuita. Accade per tutte le malattie infettive, c’è una correlazione tra gravità della malattia e gravità infettiva. Se io parlo con lei mezz’ora e le scarico addosso liberamente una montagna di virus le assicuro che avrà una malattia estremamente grave. Se usiamo tutti e due una mascherina e si infetta con poco virus, darà il tempo al suo sistema immune di neutralizzarlo.

Quindi se non si ripeterà più la situazione di febbraio, la circolazione incontrollata del virus, i malati potrebbero essere sempre meno gravi?

È una generalizzazione condivisibile. Dopo il lockdown di Vò, la prima zona rossa in Veneto, quando erano tutte in isolamento le persone sono guarite rapidamente e anche dei nuovi contagiati nessuno si è infettato in modo grave. Il virus era lo stesso di adesso.

Lei ha detto che il caldo ci aiuterà. Come?

Ho detto che lo spero. È possibile, per analogia con altri coronavirus, che il caldo secco possa ostacolare la diffusione del virus. Le goccioline emesse si essiccano rapidamente e perdono infettività.

Migliaia di persone hanno manifestato chiedendo “Ridateci la scuola”. Come sarà il rientro a settembre?

Premesso che anche i bambini si possono infettare, non c’è dubbio che siano molto più resistenti degli adulti. Se noi permettiamo di andare allo stadio non ha senso non mandare i bambini a scuola. Il rapporto è un bambino malato ogni 1.000 adulti. Il vero problema è regolare il flusso dei genitori che li vanno a portare e a prendere. Si possono fare dei modelli matematici per calcolare il rischio, dipende dalle dimensioni della scuola, delle classi, da come comunicano tra loro. Che aspettiamo?

Non è che anche lei, come il suo collega Massimo Galli, da giovane era nel movimento studentesco?

( ride…) Non mi esprimo. Però non so Galli, ma io ho tenuto fede alle mie convinzioni di studente. Fin da giovane mi sono battuto contro le divisioni sociali e anche nel mio lavoro mi sono sempre impegnato per migliorare la salute dei Paesi poveri e in via di sviluppo.


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