La Cina sta subendo, come l’Italia, una crisi del sistema creditizio, ma ha deciso di affrontarlo in modo diverso: da un lato la Banca Centrale Cinese, con la piena potestà monetaria ed una politica monetaria espansiva, subentra nella gestione delle banche in crisi e le ricapitalizza, dall’altro subentra la legge dello stato che condanna a morte gli amministratori. L’amministratore delegato della Hangfeng Bank è stato condannato a morte dal governo cinese, con due anni di dilazione nell’esecuzione della condanna. L’accusa è di aver mal gestito la sua banca causando la sparizione di oltre 700 milioni di Yuan, circa 100 milioni di dollari, e se nei due anni si comporterà bene la sua condanna potrà essere commutata nell’ergastolo. Se una norma simile fosse applicata in Italia avremmo un po’ di selezione nella dirigenza delle banche.
Una norma del genere è eccessiva, ma nello stesso tempo in Italia gli amministratori, alla fine, fra gradi di giudizio, corti compiacenti e tempi lunghi per distrarre i beni personali, se la sono cavata con uno schiaffetto sulla mano, come sta rivelando il processo Zonin. Tra il nulla e la condanna a morte ci sarà pur una via di mezzo che garantisca, ad esempio, un sequestro cautelare retroattivo adeguato dei beni degli amministratori, dei dirigenti e, soprattutto, dei sindaci. Inoltre, allo stesso modo, il calcolo della remunerazioni dei CdA e dei dirigenti, e le relative buonuscite, dovrebbe essere calcolato non sull’utile del singolo anno, ma sulla base di una media degli anni trascorsi, con le liquidazioni corrette sulla base dei risultati finanziari ed economici conseguiti anche nell’immediato periodo successivo al loro mandato. Bisogna correggere, ad ogni costo, la visione di breve periodo per spingere, invece , ad una visione strategica di medio lungo da ottenere stimolando ormai l’unico sentimento della dirigenza bancaria media: l’avidità.
Se poi passiamo a considerare il problema degli enti di controllo, cioè in primis di Banca d’Italia, è necessario concentrarsi sul vero problema dell’Istituto di controllo che non è l’impreparazione o l’incapacità e neppure , come dicono alcuni, la connivenza. I verbali delle ispezioni hanno rivelato che quasi sempre gli ispettori avevano una chiara visione dei problemi degli istituti, ed avevano correttamente comunicato i relativi problemi. Il problema è nella testa, ma, soprattutto, nella mancanza di priorità per il vertice. L’indipendenza vuol dire anche mancanza di una chiara visione complessiva della priorità di una società complessa, che possono essere definite solo attraverso il processo democratico. Se, dopo gli shock delle quattro banche risolte era chiaro che una priorità sociale era la tutela degli istituti, degli azionisti, degli obbligazionisti e dei correntisti, anche a scapido di CDA, Organi di controllo e dirigenziali, queste priorità non sono state correttamente comunicate all’organo di controllo che, quindi, non le ha implementate a sufficienza. Questo è il semplice, banale, motivo per cui la Banca d’Italia deve essere sottoposta, o strettamente coordinata, con il corpo legislativo: perchè così questo è in grado di fornire le indicazioni precise di quali siano le priorità che la Banca d’Italia deve seguire, lasciandole libertà nella definizione degli strumenti per conseguirle, ma dando anche dei precisi parametri che permettano il controllo dell’operato e le prestazioni dei vertici. Cambiare solo i vertici non è nè necessario nè sufficiente: bisogna indicare loro l’obiettivo e le conseguenze se questo obiettivo non viene raggiunto. Tutto il resto è solo inutile propaganda. Rimettiamo il bene dell’Italia al centro degli scopi degli enti statali.