Finché le cose vanno bene, i profitti restano privati, quando vanno male, socializziamo le perdite. La crisi esasperata dal conflitto in Ucraina sta generando una volatilità senza precedenti nei mercati europei dell’energia. La stessa presidente della Commissione europea, Ursula von Der Leyen, in una conferenza stampa ha dichiarato che «i fornitori di energia devono essere sostenuti». In che modo? Con garanzie pubbliche, ovviamente. Di fronte ai rischi di ritrovarsi di fronte a situazioni simil-Enron le compagnie – sostenute appunto da Bruxelles – hanno fatto appello ai poteri pubblici (ovvero a noi, in ultima istanza). La Svezia ha già deciso di sbloccare garanzie per l’equivalente di 23 miliardi di dollari a vantaggio dei colossi nordici e baltici del settore. La Germania prevede prestiti agevolati per 7 miliardi di euro. E il gigante norvegese Equinor ha parlato di necessità per 1.500 miliardi di dollari che dovrebbero essere stanziati dai grandi attori del settore energetico per onorare le scadenze delle loro obbligazioni. Senza tale liquidità, ha ammonito il governo della Finlandia, «si rischia una nuova Lehman Brothers». Con conseguenti effetti-domino potenzialmente esplosivi.
Intanto, però, c’è chi sorride. La crisi energetica globale è infatti una manna per alcuni attori della finanza. Esiste infatti un arbitrato transatlantico che sta offrendo loro un’occasione storica, con in ballo centinaia di milioni di dollari pronti ad essere intascati dai trader del settore. Il meccanismo è semplicissimo: si compra gas negli Stati Uniti a buon mercato, lo si rivende e lo si spedisce in Europa, dove i prezzi sono particolarmente elevati. Non a caso, nello scorso mese di luglio il 60% delle esportazioni americane di gas liquefatto è arrivato nel Vecchio Continente: un anno prima non si era superato il 19%. E i profitti di società specializzate nelle contrattazioni del settore, come Gunvor e Glencore, sono triplicati. E sul mercato dei futures americani gli hedge fund (fondi speculativi) coprono il 25% delle posizioni sul gas e il 20% sul petrolio.
Una situazione ideale anche per l’high frequency trading (Hft). Ovvero le operazioni effettuate da computer e non da operatori umani. La volatilità attuale è perfetta per speculare, e non da oggi: tra il 2012 e il 2020 la quota di contrattazioni effettuata attraverso l’Hft negli Stati Uniti sui futures legati al gas è passata dal 13 al 32%, secondo i dati della Commodity Futures Trading Commission. E sul petrolio dal 29 al 54%…
Questo per l’1%. Il rimanente 99% non ha altra scelta se non quella di protestare. Il tasso d’inflazione nell’Unione europea si avvicina al 10% e in numerosi Paesi già sono cominciate le proteste popolari. In particolare in Germania, Belgio e Repubblica Ceca. Mentre nel Regno Unito si moltiplicano gli scioperi: dai postini ai portuali, passando per i macchinisti. Ci si attende un autunno caldo.
(Valori.it del 14/09/2022)
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Fonte: Crisi energia. Perdite socializzate, profitti privati