Nel precedente articolo sul crollo azionario del 2022 ho illustrato alcuni argomenti in base ai quali il 2022 potrebbe essere un anno molto negativo per il mercato azionario, ma nell’articolo ancora precedente avevo discusso del concetto stesso di previsioni e di come queste siano molto poco affidabili, in particolare quelle a breve termine, richiamandomi al paragone storico degli àuguri che tentavano di ricavare i presagi sul futuro attraverso il volo degli uccelli o il modo con il quale i polli sacri si avventavano sul cibo – si legge nel comunicato che pubblichiamo a firma di Primo Mastrantoni dell’Aduc (qui altre note Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr) –.
In questa terza ed ultima parte inizierò affrontando un crollo dei mercati azionari attualmente in corso per capire come agire sulla base delle informazioni circa un ipotetico (ma incerto) crollo del mercato azionario generale.
Il crollo azionario in corso
Guardando gli indici azionari globali, il 2021 è stato un anno molto buono per le azioni. L’anno è stato preceduto da un 2020 che ha visto uno scossone in primavera, brillantemente superato nel resto dell’anno. La visione degli indici azionari globali, però, nasconde una realtà molto, molto diversa se guardiamo a specifici settori o – peggio ancora – ad alcune singole azioni.
Durante il 2021 si è vissuta quella che gli esperti chiamano una forte rotazione degli indici. Con questo termine ci si riferisce a quel processo che vede alcuni titoli che precedentemente andavano molto bene scendere (o crescere meno rispetto alla media dell’indice) ed altri fare l’esatto opposto. Quando la rotazione è molto accentuata, può accadere che alcuni settori abbiano discese catastrofiche anche se il complesso dell’indice va molto bene.
A livello geografico i paesi emergenti hanno sottoperformato significativamente l’indice mondiale e fra questi ha spiccato la Cina con perdite a due cifre.
A livello di tipologie di azioni, quelle cosiddette “growth” hanno fatto peggio della media dell’indice. Questo genere di azioni sono quelle che hanno tassi di crescita del fatturato molto elevati. In ragione di questi tassi in genere il mercato è disponibile a pagare un prezzo molto più alto (a parità di altre condizioni) rispetto ad aziende più consolidate che hanno tassi di crescita molto inferiori. All’interno di questa categoria possiamo identificare un sottogruppo di aziende che opera in settori fortemente innovativi per il quale il potenziale mercato è vastissimo, ma in massima parte tutto da realizzare. Potremmo chiamarle “innovation stock” o “hyper-growth stock”.
Ci sono fasi nei mercati nei quali attorno a queste aziende si costruisce tutta una narrativa che genera aspettative enormi, irrealizzabili, sicuramente nelle tempistiche e – in molti casi – anche nelle dimensioni stesse del business. E’ esattamente quello che è accaduto nel 2020 e nella prima parte del 2021.
Forse l’esempio più azzeccato di questo fenomeno, non fosse altro purché si tratta di un’azienda che tutti conoscono per aver utilizzato il suo prodotto è certamente Zoom. Un grafico spiega più di mille parole.
Il titolo Zoom apre il 2020 con un prezzo di circa 66 dollari ad azione. Durante il lockdown del 2020 centinaia di milioni di persone si trovano di fatto costretti ad usare software di videoconferenze e si sviluppa una narrativa in base alla quale le videoconferenze saranno parte integrante del nostro futuro ed aziende come Zoom moltiplicheranno il loro fatturato per decine di volte. Il titolo vola alle stelle e per un paio di giorni supera i 500 dollari.
Scende, ma chiude comunque l’anno con un rendimento stellare superiore al 500%.
Nel 2021 il titolo apre a circa 340 dollari ad azione e lo chiude con una perdita del 45% ad un anno e del 67% dai massimi assoluti.
Si potrebbe pensare che si tratti di un caso isolato, ma non è affatto così, sono decine e decine le azioni che operano in un settore innovativo e che hanno visto una parabola simile.
Facciamo cinque esempi di aziende molto meno conosciute, ma comunque molto rilevanti e promettenti.
Crispr Therapeutics opera nel settore della genomica, nel suo board ha un recente Premio Nobel vinto proprio per una tecnica di editing genetico che promette di rivoluzionare in modo dirompente la medicina. L’azione dell’azienda apre il 2020 a 66 dollari, arriva ad un picco di 220 dollari il 15 gennaio del 2021 per poi tornare ai 67 dollari attuali.
Teladoc opera nel campo della telemedicina, apre il 2020 a 83 dollari. La narrativa collegata al lockdown, in modo simile a ciò che è accaduto per zoom, spinge il titolo sopra i 200 dollari e nella prima parte del 2021 raggiunge un massimo di 300 dollari. Adesso quota 79 dollari con una perdita dai massimi assoluti superiore al 70%.
Lemonade è un’azienda che opera nel settore delle assicurazioni con un modello di business fortemente innovativo, si quota a Luglio del 2020 a 50 dollari ad azione, chiude l’anno a 118 dollari. Nella prima parte del 2021 raggiunge un picco di 188 dollari e adesso quota a 35 dollari (-80% dal massimo assoluto).
Beyond Meat è un’azienda piuttosto conosciuta a livello mondiale per i suoi hamburger vegetali. Ha un progetto aziendale estremamente interessante con un potenziale di crescita notevole, specialmente per il settore alimentare. Apre il 2020 a 76 dollari e lo chiude a 125 dollari dopo aver sfiorato i 200 dollari. Il 26 gennaio del 2021 tocca il massimo di 221 dollari per poi avviare una discesa che la porta agli attuali 66 dollari.
Palantir è un’azienda che opera nel campo del software per l’analisi dei dati. Durante gli ultimi 10 anni ha sviluppato una tecnologia estremamente avanzata che fa uso di tecniche di intelligenza artificiale. E’ forse la più interessante azienda di software oggi quotata come prospettive di crescita. Si quota l’ultimo giorno di settembre del 2020 a 10 dollari e durante il picco del gennaio 2021 tocca il massimo di 45 dollari, oggi quota 16 dollari.
Esiste un ETF a gestione attiva, non armonizzato in Europa, che costituisce il simbolo di questo genere di azioni, si chiama ARK Innovation (simbolo di negoziazione ARKK).
Anche in questo caso, un grafico vale più di mille parole.
Ark Innovation apre il 2020 a 51 dollari e lo chiude a 124. Notare che non si tratta di un’azione, ma di un paniere di azioni (per quanto molto, molto settoriali). Un rendimento superiore al 140% per un fondo d’investimento è qualcosa di stellare. Durante il picco del gennaio 2021 tocca il massimo di 157 dollari per realizzare l’ultima chiusura sotto gli 80 dollari.
Lezioni dal crollo in corso
Probabilmente, per la maggioranza dei lettori, tutti questi numeri possono essere delle semplici curiosità (nell’ipotesi migliore) o addirittura una noiosa elencazione di casi irrilevanti. In questo paragrafo vogliamo mostrare che non è affatto così.
Immedesimarsi nel vivo di un crollo in corso ci aiuta a capire come comportarsi, in relazione ad un potenziale crollo generalizzato dei mercati e forse potrebbe anche darci qualche interessante spunto d’investimento per il futuro.
Immaginiamoci di essere nella testa di un investitore che ha questi titoli in portafoglio, cosa dovrebbe fare? Una delle prime analisi da fare riguarda senza dubbio la qualità del business delle aziende nelle quali ha investito. Se fossi il proprietario di quell’azienda continuerei a crederci e ad impegnarmi per svilupparla? Questa è una domanda chiave. Credo nel progetto aziendale? La risposta a questa domanda da una parte riguarda proprio gli aspetti specifici del prodotto o servizio, ma dall’altra riguarda anche i numeri del bilancio. I fatturati ci sono e sono in crescita? I margini operativi stanno migliorando? I clienti cosa dicono? Il management ha dimostrato una buona capacità di eseguire il progetto?
La seconda domanda fondamentale da porsi è la seguente: l’azienda ha risorse finanziarie sufficienti per portare avanti il progetto? Questo genere di aziende necessariamente passano una prima fase nella quale bruciano importanti quantità di denaro per costruire un nuovo prodotto/servizio per ed un nuovo mercato. In una certa misura questo è fisiologico, ma è fondamentale che l’azienda possa attraversare almeno due o tre anni senza bisogno di chiedere al mercato nuova liquidità, diversamente il rischio che il progetto, anche se buono, non si realizzi è troppo elevato.
La terza domanda che l’investitore dovrebbe porsi è: sono cambiate delle circostanze che rendono le motivazioni iniziali dell’investimento e la strategia scelta non più valide? Questa è la domanda al tempo stesso più importante e più difficile perché la maggioranza degli investitori investe senza motivazioni sufficientemente chiare e senza una strategia precisa. Troppo spesso ciò che motiva è banalmente la speranza di guadagnare, talvolta proprio un po’ di avidità e l’unica “strategia” (meglio non-strategia) è quella di comprare e sperare. E’ evidente che in queste condizioni, quando le speranze vengono frustrate, si tende a rimettere in discussione la scelta iniziale e vendere nel momento peggiore.
Il problema, quindi, non è il crollo in corso. Al contrario il crollo può rappresentare anche un’ incredibile opportunità, il problema è quello di investire senza la necessaria consapevolezza di ciò che può accadere e – conseguentemente – senza aver approntato una strategia d’investimento che dica chiaramente cosa fare in caso di crollo.
Affinché queste parole non suonino dettate dal senno di poi, vorrei richiamare alcuni articoli che ho scritto in passato che parlavano proprio di questo genere di azioni sia dal punto di vista delle opportunità, sia dal punto di vista della fase di crollo che sarebbe giunta.
Nell’ottobre del 2020 ho pubblicato un articolo dal titolo “https://www.aduc.it/editoriale/investire+tecnologie+dirompenti+possibile+cercare_31893.php” nel quale scrivevo: “il problema non è (solo) identificare i vincitori delle prossime rivoluzioni tecnologiche, il problema è realizzare un piano d’investimento a lungo termine che sia psicologicamente sostenibile.”
Ad Aprile del 2021 scrivevo un articolo dal titolo: “https://www.aduc.it/articolo/grande+delusione+dei+mercati+come+prepararsi_32510.php” richiamando un paper del grande economista Aswath Damodaran “The Big Market Delusion: Valuation and Investment Implications”. Con il termine “grande delusione dei mercati” ci si riferisce alla fase in cui i mercati prendono consapevolezza del fatto che la narrativa sull’innovazione aveva portato a valutazioni eccessive. Nell’articolo davo alcuni spunti molto pratici: “la cosa più importante di ogni progetto d’investimento è il cosiddetto “money management”: ovvero stabilire in che proporzione e quando investire. E’ utile iniziare ad investire in questi settori nelle prime fasi, ma va fatto con capitali molto piccoli rispetto al proprio portafoglio ed in più tranche. Il momento nel quale investire pesantemente in questi settori è durante le grandi delusioni. Lo scopo di investire durante le prime fasi è essenzialmente quello di fare l’esperienza necessaria che ci rende sufficientemente confidenti per investire pesantemente durante i grandi crolli.
Per questo bisogna sì investire, possibilmente il prima possibile, ma con dosi “omeopatiche” del portafoglio, dosi che andrebbero incrementate sulle discese che si verificano anche durante le fasi estremamente positive.
Ecco un esempio di semplice regola di buonsenso che può far parte di un progetto più complessivo: per ogni euro investito in queste tecnologie devo contemporaneamente avere o mettere da parte un euro che mi prefiggo di investire quando il settore crollerà, se non ho l’euro da mettere da parte, non devo investire neppure l’euro nella nuova tecnologia.”
Grazie al lavoro di consulente finanziario indipendente che svolgo ormai da vent’anni, conosco diversi investitori che hanno in portafoglio titoli di questa categoria, alcuni sono molto in ansia, altri vivono questo momento come una grande opportunità. La differenza fondamentale fra i due tipi di investitore è che i secondi sono pienamente consapevoli del tipo di aziende nel quale hanno investito e del fatto che durante il corso dell’investimento avrebbero dovuto attraversare una fase di profondo crollo. I primi, quelli molto in ansia, hanno investito senza credere troppo nell’azienda e – soprattutto – senza avere o credere troppo nella strategia. In altre parole, senza sufficiente consapevolezza.
Come prepararsi al crollo azionario generalizzato
La lezione principale che apprendiamo dal caso estremo del crollo delle innovation stock è quanto sia fondamentale una strategia che inglobi anche la consapevolezza che un crollo prima o poi arriverà. Sebbene investire in singole azioni sia profondamente diverso rispetto ad investire nella media del mercato (1) questo principio vale anche quando investiamo nell’azionario in generale.
Ciò che distingue un “investitore adulto” da un investitore destinato ad essere ancora in balia dei mercati finanziari è principalmente un aspetto: l’investitore adulto ha accettato l’idea che non può prevedere l’andamento dei mercati. “Accettato” non significa semplicemente comprendere che non si possono prevedere i mercati. “Accettato” significa che la metodologia con la quale si assumo le scelte d’investimento si fonda sull’impossibilità di prevedere. La scelta, in altre parole, parte da ciò che è già accaduto, non da ciò che si spera possa accadere.
Al contrario, l’”investitore bambino”, quello destinato ad essere in balia dei mercati, può anche comprendere che è impossibile prevedere i mercati finanziari, ma le sue scelte non sono influenzate da questa comprensione. A parole magari si può anche dire convinto che sia così, ma sotto sotto, continua a provarci perché continua a comprare titoli con la speranza che salgono e quando questo non accade (o accade il contrario) non sa cosa fare perché non ha sviluppato nessuna strategia che prendesse in considerazione questa ipotesi.
Quindi, il primo passo per prepararsi al crollo azionario generalizzato è quello di fare pace con l’idea che questo prima o poi accadrà, ma nessuno potrà dire quando ed in che modo accadrà.
E’ utile domandarsi (e rispondere per scritto): se domani la componente azionaria del mio portafoglio scendesse del 30 o 40 per cento, quali scelte finanziarie prenderei? Se non c’è una risposta scritta e convincente a questa domanda abbiamo un problema. Grosso.
Nei precedenti articoli di questa serie abbiamo visto sia i motivi per i quali le previsioni finanziarie a breve termine sono inaffidabili, sia le condizioni oggettivamente anomale nei mercati che lasciano pensare ad un ritorno verso valutazioni più ragionevoli.
In questo contesto, per quella parte di portafoglio che deve essere investita nel lungo termine, sulla base della mia esperienza, una strategia adatta a molti investitori è quella della diversificazione temporale. Non investire tutto subito, ma farlo gradualmente nel tempo, impostando una strategia che investa di più sulle discese del prezzo e di meno sulle risalite.
Se la capienza del portafoglio lo permette, una strategie di questo genere è ancora più efficace se invece di essere fatta su un solo indice azionario mondiale viene fatta su un paniere di indici. Questo consente, di volta in volta, di investire di più su quella porzione di indice che è sceso e di meno (o per niente) in quella dove i prezzi sono saliti di più. Tutto questo accade in modo automatico, grazie alla strategia scelta, senza dover prevedere cosa accadrà.
La diversificazione temporale può essere fatta in molti modi. In un precedente articolo ho approfondito il tema dei piani di accumulo dinamici (PAD), anche se applicati ad un contesto più specifico. Questa strategia può essere applicata tranquillamente anche agli indici azionari più diversificati, ovviamente adeguando i parametri in base alle diverse volatilità tipiche degli indici rispetto a quelle dei singoli titoli.
La grande maggioranza dei lettori probabilmente non avrà una strategia d’investimento già delineata e si troverà con una certa componente azionaria già investita (sulla quale forse avrà anche già accumulato un certo guadagno visti questi due anni).
La domanda che si porrà quindi è se vendere (in previsione del crollo) o non vendere.
A questo punto si sarà capito che vendere in previsione del crollo è una scelta da “investitore bambino”. Vendere per impostare una strategia d’ingresso dilazionato nel tempo, invece, può essere una scelta da “investitore adulto”. Tutto dipende ovviamente dalle motivazioni e dalle modalità con le quali si applica questa scelta (quanta parte si vende? in che tempi si prevede l’ingresso? su quali indici si investe? quali sono gli effetti fiscali? ecc.).
E’ chiaro che non si possono dare indicazioni specifiche in un articolo rivolto ad un pubblico generico. Il suggerimento, molto forte, che mi sento di ribadire, in conclusione, è di smettere di investire senza precisi, specifici, obiettivi e senza una specifica, precisa, strategia. In poche parole: senza un piano. Non si dovrebbe mai investire in assenza di questi due elementi, ma per le ragioni espresse nel precedente articolo di questa mini serie, questo è probabilmente il momento meno adatto in assoluto.
Nota
Per approfondire questo punto si può partire dalla miniserie di tre articoli che ho scritto a novembre 2020. Il primo “ Investimenti finanziari e diversificazione: perché e come diversificare”, all’interno dell’articolo ci sono i link ai successivi, nel terzo articolo si parla dell’investimento in singole azioni.