CSM: il cavallo di Trojan di Marco Travaglio e il “nuovo Super EnaLotti” di Claudio Mellana

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Il caso Csm e il nuovo Super Enalotti di Claudio Mellana
Il caso Csm e il nuovo Super Enalotti di Claudio Mellana

Il frittomisto allucinogeno dello scandalo del Csm (e del Pd) rischia di far perdere di vista i fondamentali: Lo stand, cos’è normale e cosa no, chi è coerente e chi no. Partiamo dal principio: la Procura di Perugia riceve da quella di Roma (guidata da Giuseppe Pignatone) le carte su una presunta corruzione del pm Luca Palamara, capo della corrente Unicost (la vignetta è del “nostro” Claudio Mellana, ndr).

E decide di intercettarlo inoculandogli nell’iPhone un trojan che capta ogni sua parola e mossa, nella speranza di acchiappare elementi utili su un’eventuale tangente di un anno prima. Invece intercetta una serie di colloqui fra Palamara, due deputati del Pd (Lotti e Ferri), alcuni magistrati e membri del Csm che non parlano mai di quel caso di corruzione, ma delle nomine all’ordine del giorno in Consiglio: quelle per i capi delle Procure di Roma, Perugia, Firenze, Torino e Reggio Calabria.

Palamara ce l’ha con Pignatone perché, dopo aver avuto il suo appoggio per diventare procuratore di Roma e poi per “creare l’affidamento” presso un “Matteo” che somiglia tanto a Renzi, l’ha fatto indagare a Perugia: dunque briga per impallinare il candidato di Pignatone alla successione (Lo Voi) e spinge un esposto contro Pignatone e Ielo presentato al Csm da un altro pm. I renziani Lotti e Ferri ce l’hanno con Pignatone perché ha chiesto il rinvio a giudizio di Lotti per Consip: anche loro trafficano contro il suo erede designato Lo Voi, ma anche contro il procuratore fiorentino Creazzo, che ha fatto soffrire Renzi con l’arresto dei genitori.

Una schifezza colossale, che ha già portato alle dimissioni o all’autosospensione di 5 togati del Csm, sottoposti a procedimento disciplinare insieme a Palamara, e all’autosospensione di Lotti dal Pd. Ma finora nessun reato, e soprattutto nulla di collegato con l’inchiesta per cui Palamara è stato intercettato dal gip di Perugia. Non solo: l’art. 68 della Costituzione (che noi vorremmo tanto abolire, ma purtroppo esiste) vieta di intercettare direttamente i parlamentari, salvo autorizzazione del Parlamento.

Può capitare che siano intercettati indirettamente, mentre parlano con indagati sotto controllo, purché la cosa sia casuale: se si sa che l’intercettato parlerà con un parlamentare, bisogna spegnere la microspia o il trojan. Lo conferma la sentenza n. 390 del 2007 della Consulta. Invece risulta che l’incontro carbonaro in un hotel di Roma, la notte del 9 maggio, fra Palamara, Lotti, Ferri e alcuni membri del Csm era stato fissato in una telefonata della sera prima tra Palamara e Ferri, che annunciava all’altro la presenza di Lotti.

Dunque perché il trojan non fu disattivato per evitare di intercettare i due deputati, che fra l’altro non si vedevano per parlare di tangenti a Palamara? Senza spiegazioni convincenti da Perugia e dal Gico di Roma, l’intercettazione che ha messo in crisi un organo costituzionale come il Csm sarebbe inutilizzabile. E non avrebbe dovuto esistere. Si dirà: certe cose è molto meglio averle sapute. Vero. Ma le indagini vanno fatte secondo le regole, altrimenti chi accusa (giustamente) Lotti, Ferri, Palamara &C. di scorrettezze dovrebbe rispondere delle proprie.

E qualcuno potrebbe financo sospettare che l’inchiesta (doverosa) su presunte mazzette a Palamara sia stata trasformata in un’inchiesta (illegittima) sul Csm che si era permesso di disobbedire a Pignatone e ai suoi alti protettori, scegliendo in commissione Viola anziché Lo Voi come nuovo procuratore. Un’inchiesta senza reati, usata per pilotare la nomina del capo della Procura più importante d’Italia: cioè per fare esattamente ciò che, sull’altro fronte, facevano i carbonari in hotel. E ci sarebbe da avere paura di una guerra per bande tra due fazioni che usano l’una il sistema giudiziario e l’altra l’intrallazzo politico-correntizio per conquistare Piazzale Clodio. Ma finora s’è parlato solo della seconda. E, per nascondere la prima, si è deciso a priori chi sono i buoni (Pignatone e chiunque assecondi i suoi desiderata) e i cattivi (tutti gli altri). Con un doppio effetto tragicomico per chi conserva un pizzico di memoria.

1) Chi ci legge sa cosa pensiamo di Lotti e Ferri: peste e corna. A settembre, quando i due fecero eleggere David Ermini, deputato renziano come loro, a vicepresidente del Csm coi voti di Unicost (Palamara, già indagato), Mi (Ferri) e Pd (Lotti), contro il prof indipendente Alberto Benedetti, scrivemmo che era una vergogna. E fummo i soli: gli altri esultavano per il salvataggio del Csm dall’orda “sovranista”. Ora scopriamo che Lotti, Ferri e Palamara, buoni quando votano Ermini (e prima Pignatone), diventano cattivi quando votano contro Lo Voi e per Viola. Al punto che Viola non può più diventare procuratore anche se non risulta aver fatto nulla.

2) Chi ci legge sa cosa pensiamo dello scandalo Consip. Quando lo scoprirono i pm napoletani Woodcock e Carrano e il Noe, l’inchiesta riguardava i traffici di imprenditori e faccendieri (Carlo Russo, che parlava a nome di Tiziano Renzi con Alfredo Romeo) per pilotare il più grande appalto d’Europa e poi per rovinare le indagini con fughe di notizie agli indagati. Quando passò a Roma, diventò soprattutto un’indagine sull’indagine e su chi l’aveva fatta (Woodcock, il capitano Scafarto, persino la Sciarelli) e raccontata in anteprima (Marco Lillo sul Fatto). Mentre nessuno sequestrava il cellulare di babbo Renzi né indagava sull’oggetto dell’incontro al bar con Romeo (il mega-appalto di Grandi Stazioni), alcuni errori di Scafarto diventavano falsi in atto pubblico (poi smentiti da Riesame e Cassazione) e addirittura prove di un golpe giudiziario per rovesciare il governo Renzi (peraltro già caduto per conto suo dopo il referendum e tre settimane prima dello scoop del Fatto). Repubblica titolava: “Finti 007 e intercettazioni: così hanno manipolato le carte per coinvolgere Palazzo Chigi”. E parlava di “una faccenda uscita dalla sentina dei giorni peggiori della storia repubblicana”. Il nuovo piano Solo, un golpe Borghese-bis ordito da carabinieri “impostori” e dal Fatto con una “velenosa polpetta propinata a due Procure” per partorire un’ “inchiesta deviata” che “sembra strumento di una sorta di contropotere contro Matteo Renzi”. Così, a furia di indagare sull’inchiesta anziché sul vero scandalo, la montagna partita da Napoli partorì il classico topolino a Roma: richiesta di rinvio a giudizio per i sospettati delle fughe di notizie (Lotti, Del Sette, Vannoni, Saltalamacchia), richiesta di archiviazione per i sospettati di trafficare sugli appalti Consip (Romeo e Renzi sr.). Una gestione minimalista che il Fatto ha sempre criticato, auspicando perciò, sempre in beata solitudine, un nuovo procuratore in discontinuità da Pignatone. Ma ora, oplà: Repubblica scopre, tre anni e mezzo dopo, la bontà dell’inchiesta Consip (quella vera, non l’inchiesta sull’inchiesta), titola allarmata su fantomatici propositi di affossarla (“Così aggiustiamo Consip”) e racconta la favoletta che Pignatone “aveva tirato diritto”, mentre a volerla insabbiare era Palamara. Come? Appoggiando Viola come capo e diventandone aggiunto: “Se io – dice a Lotti il 9 maggio – vado a fare l’aggiunto, dico a Viola: ‘Gli vogliamo credere (a Scafarto, ndr)? Allora rompiamogli il culo (a Lotti, ndr). Non gli vogliamo credere? Si chiude. Fine. Basta”.

Ora, a parte il fatto che Palamara ipotizza pure di credere a Scafarto e “rompere il culo” a Lotti, qui c’è un dato insormontabile: se anche Viola fosse diventato procuratore, Palamara fosse diventato aggiunto, il primo avesse dato retta al secondo ed entrambi non avessero creduto a Scafarto, non avrebbero potuto “chiudere” un bel niente. Perché dal 14 dicembre 2018, giorno delle richieste di rinvio a giudizio per Lotti&C. e di archiviazione per Tiziano &C., l’inchiesta Consip è passata dalle mani dei pm a quelle del gip. E, neppure volendo, un procuratore capo o aggiunto potrebbe riprendersela e rimangiarsi le richieste. Quindi Palamara vaneggiava e millantava. Però è bello sapere che Repubblica, con appena tre anni e mezzo di ritardo, ha rivalutato l’inchiesta Consip e teme per le sue sorti fuori tempo massimo. Il fatto che nel 2016 i renziani fossero i padroni del Pd e ora siano una zavorra per il Pd è solo una sfortunata coincidenza.

di Marco Travaglio, da Il Fatto Quotidiano