Dalla Rosa, Langella e Zanettin: un primo confronto su leggi elettorali, election day, diritto al voto, partiti e civismo, vecchi e nuovi politici

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Dalla Rosa, Langella e Zanettin su democrazia e politica
Dalla Rosa, Langella e Zanettin su democrazia e politica
Da quando è nata la Repubblica italiana abbiamo cambiato sette volte il sistema elettorale e forse ora arriveremo all’ottava. Da questa domanda ne nascono altre che abbiamo posto a tre politici vicentini: un deputato, l’on. Pierantonio Zanettin (Forza Italia, avvocato ed ex membro del Csm), un dirigente di partito, Giorgio Langella (ex consigliere provinciale e ora segretario regionale del PCI, piccolo imprenditore), e un amministratore locale, Otello Dalla Rosa (già candidato sindaco e ora consigliere comunale del Pd, manager aziendale).
Fare leggi sulla misura del momento quanto sta danneggiando la democrazia e come si riflette sulle incertezze del sistema Paese (politico ed economico finanziario)?
Otello Dalla Rosa
Otello Dalla Rosa

Dalla Rosa. Le leggi elettorali sono servite in questi anni a ridurre la rappresentanza dei territori e a rafforzare i meccanismi di controllo interno delle oligarchie di partiti e movimenti, nessuno escluso. Il risultato è una democrazia più fragile e un paese affascinato dall’uomo forte. La debolezza legislativa e dell’esecutivo si riflettono sull’incapacità di risolvere i problemi: la questione Ilva, il disastro Mose, il pozzo senza fondo di Alitalia condannano senza appello un’intera generazione di politici. L’incertezza di leggi e governi allontanano gli investitori. Il risultato è un paese più debole, sulla strada di un declino evidente in cui si stanno consumando oggi le risorse create ed accumulate nel passato senza produrne di nuove.

Giorgio Langella e il lavoro
Giorgio Langella e il lavoro

Langella. Direi che soprattutto i sistemi elettorali sono cambiati quando, con la propaganda della “governabilità”, si è passati da un proporzionale puro a un maggioritario (o a qualche ibrido) che doveva garantire soprattutto la vittoria a qualche organizzazione o partito. La governabilità veniva (e viene) volutamente confusa con la necessità di “restare al potere” o tentare di garantirselo per lungo tempo. Direi che l’esperienza fatta è stata drammatica. Chiunque vincesse le elezioni cambiava la legge e lo faceva non subito ma a ridosso del prossimo impegno elettorale. Questa visione della politica come una competizione tra aziende che devono garantirsi quote di mercato (gli elettori) con qualsiasi mezzo è una delle grandi truffe della cosiddetta seconda (o terza o …) repubblica.

Pierantonio Zanettin
Pierantonio Zanettin

Zanettin. Personalmente reputo questo fenomeno una forma di autentica schizofrenia legislativa. Paesi di grande tradizione democratica come gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno la stessa legge elettorale da più di duecento anni. Tutti conoscono i difetti di quei due sistemi elettorali, ma nessuno pensa che sia opportuno modificarli. L’autorevolezza di un rappresentante del popolo deriva anche dalla indiscutibilità delle regole, con cui viene eletto. Se le regole vengono dettate dalla maggioranza di turno, ne soffre la democrazia rappresentativa. E’ purtroppo ciò che sta accadendo in Italia negli ultimi 20 anni.Crollata la prima repubblica, non siamo più stati in grado di raggiungere un equilibrio soddisfacente.

 

Accanto alla variabilità delle leggi elettorali non c’è una successione eccessiva di elezioni regionali e di grandi comuni che, frapponendosi tra una votazione nazionale e la successiva, generano un clima perennemente elettorale con il dibattito politico sempre più drogato dal risultato immediato da conseguire a scapito dxi una proposta proigrammatica di erespiro quinquennale? Cosa impedisce l’unificazione delle tornate elettorali locali?

Dalla Rosa. Le convenienze politiche dei partiti hanno dettato i tempi delle elezioni, indipendentemente da costi, partecipazione e stagioni. Indubbiamente concentrare le elezioni aiuterebbe non solo a risparmiare denari ma anche a favorire la partecipazione.

Langella. La politica ormai si è ridotta a una continua campagna elettorale e di basso livello. Al posto di una “visione del futuro” che si vorrebbe, di un progetto di continuità o di cambiamento anche radicale con prospettive a medio e lungo termine (almeno) si rincorre il consenso immediato. Lo si fa con le regole della réclame (neanche della propaganda, sarebbe “troppo nobile”) e delle trasmissioni mediatiche urlate. Le proposte che vengono fatte sono, il più delle volte, palesemente fasulle e irrealizzabili, specialmente nell’immediato che è l’unico lasso temporale ormai vissuto dai politicanti italiani. Penso anche che unificare le tornate elettorali sarebbe non solo saggio ma doveroso. Il problema è che chi oggi siede nei posti del potere non lo vuole fare, non gli conviene. Altrimenti sarebbe costretto a fare politica vera (e non solo propaganda) almeno per un paio d’anni.

Zanettin. Certamente sarebbe opportuno si sancisse una volta per tutte un election day  in cui si svolgono  tutte le elezioni, politiche o amministrative, previste per quell’anno. In Italia non accade e credo che dipenda dal fatto che  ad ogni  elezione corrisponde un sistema elettorale diverso. I cittadini, già oggi confusi, finirebbero  definitivamente disorientati. Le elezioni politiche avvengono ormai da  più di 25  anni su liste bloccate o candidati uninominali. Le elezioni comunali e regionali prevedono invece  le preferenze. I partiti che si presentano alle elezioni politiche o europee, spesso non si presentano alle comunali o regionali, ove invece abbondano le liste civiche. Sarebbe necessario fare, una volta, per tutte, la scelta di un unico sistema elettorale e poi, applicarlo coerentemente, in tutte le diverse elezioni previste dalla Costituzione. Ma non vedo alcuna forza politica  interessata a razionalizzare il sistema.

La conquista storica del voto per tutti non rischia di omologare l’intelligenza (intus lego, leggo dentro) all’ignoranza (che è uguale all’impressione da social di sapere tutto)  in un’era in cui i condizionamenti emozionali non più collegati a passioni ideali e ideologiche ma a pulsioni comunicazioni e propagandistiche? Quale la strada da percorrere per rivalutare il peso del voto consapevole?
 
Dalla Rosa. La democrazia è partecipazione ma dovrebbe essere anche fatica di capire e confrontare le diverse proposte. Ci sono due elementi fondamentali per migliorare la consapevolezza del voto: il primo, di lungo termine, è di ripensare la scuola pubblica, investendo in modo sostanzioso e continuo, valorizzando la formazione continua e cercando di contrastare l’analfabetismo funzionale che tocca quasi il 30% delle persone adulte, livello tra i peggiori dei paesi OCSE; il secondo è di restituire valore al voto, riportando al territorio la scelta dei suoi rappresentanti. Questo significa collegi piccoli, contendibilità delle posizioni, scelta dei candidati dal basso. Da questo punto di vista penso che il maggioritario a doppio turno sia la soluzione migliore.
Langella. Su questo sono convinto che tutti abbiano diritto al voto. Il problema non si risolve facendo votare solo i “non ignoranti” ma combattendo l’ignoranza. Il ruolo dell’informazione, della cultura, della scuola sarebbe fondamentale e necessario. Si dovrebbe garantire che ognuno fosse a conoscenza dei temi piccoli o grandi e non per “sentito dire” o perché “educato” dal leader di turno, ma perché messo in grado di capire. Naturalmente bisognerebbe investire risorse nell’istruzione pubblica e disincentivare chi fa del pettegolezzo e delle “fake-news” ragione di vita (e di guadagno).

Zanettin.E’ uno dei grandi temi su cui, a livello planetario, si stanno interrogando politologi e sociologi, e una risposta ancora non c’è. Internet ed i social network hanno disintermediato la conoscenza delle notizie e ciò per certi versi è stato anche positivoOggi tutti possono accedere con immediatezza ad una mole pressochè infinita di informazioni, provenienti da tutte le parti del pianeta. Ma c’è anche un preoccupante rovescio della medaglia. Rischiamo che, con l’applicazione delle nuove scoperte sulla intelligenza artificiale, i social network si trasformino in subdoli strumenti di controllo delle masse, in grado di alterare il libero confronto democratico ed alimentare teorie complottiste e fake news. Considero la democrazia in pericolo se i politici già oggi non esitano ad inserire su Tik Tok , la nuova frontiera dei social network, destinata ad adolescenti e giovanissimi, propri GIF musicali. Resto legato ad una politica fatta di cultura e di idee. Ma forse la mia è solo una forma di anacronistico romanticismo.

 
Il nascondere il valore dei partiti dietro un civismo che sembra spesso di maniera non è ipocrisia e un passo indietro rispetto alla necessità di muoversi nell’ambito di una visione politica?
 
Dalla Rosa. Mai come oggi i partiti sono stati privi di visioni di lungo termine. Per questo la fuga dai partiti al civismo non è solo opportunistica ma anche una necessità per ristabilire contatti e relazioni con una società che chiede soluzioni ma anche ampiezza di visione e prospettive coerenti con i valori. Credo che il civismo di oggi sia solo in parte strumentale e solo in parte puramente civico: c’è stata una evoluzione che ha messo un pezzo importante di questo mondo a condividere valori politici importanti quali l’europeismo, i diritti civili, una sanità veramente pubblica, il rilancio della scuola pubblica, una più equa distribuzione delle risorse e una ambientalismo tanto pragmatico quanto inderogabile. Forse questa condivisione di visioni costituirà delle fondamenta su cui far crescere qualcosa di importante già dalle prossime regionali.
Langella. Ritengo che l’organizzazione partitica e sociale sia fondamentale e uno dei pilastri di qualsiasi democrazia. Sono molto dubbioso su quei movimenti che nascono dal nulla, che si autodefiniscono “civici” e che, sbandierando l’appartenenza alla “società civile”, rifiutano di confrontarsi e di rispettare tutti i partiti e chi fa parte di un’organizzazione. Ci sarebbe da chiedersi come nascono, con quali mezzi e, soprattutto, con quali scopi.

Zanettin. Io mi sono iscritto a 17 anni e da allora ho sempre avuto in tasca una tessera di partito, (ad eccezione del 4 anni trascorsi al CSM, in cui mi era vietato per legge ed etica)Credo che se un individuo vuole davvero affermare le sue idee, deve essere inserito in una struttura, che è anche insieme una scuola di vita. E’ noto che vivere all’interno di una organizzazione politica è tutt’altro che facile. Bisogna saper accettare la gerarchia, le regole, confronti, spesso aspri, e talvolta anche dei soprusi. Il civismo, secondo me è una scorciatoia., che evita tutti questi fastidi. In talune occasioni può anche essere utile. Può generare energie nuove e far emergere una nuova classe dirigente. Ma l’esperienza ci insegna che candidati civici, dopo i successi iniziali, se poi vogliono proseguire la loro esperienza devono giocoforza iscriversi o dar vitaad un partito.

 
Cosa rimpiange della politica degli ultimi venti anni del secolo scorso e cosa c’è di positivo in quella dei primi venti anni di questo millennio?
Dalla Rosa. Gli uomini politici del passato avevano una cultura profonda, studiavano i dossier e sapevano di cosa parlavano. Tanti altri difetti, primo fra tutti non capire dopo la caduta del muro di Berlino la necessità di una grande riforma che riportasse potere dai partiti ai cittadini, rinnovasse le classi dirigenti  e insieme a questo una drastica svolta etica. Avrebbero evitato tangentopoli, il declino e la sparizione, poi, dei partiti storici. L’ultimo ventennio ha espresso molto poco: tra gli elementi positivi che voglio ricordare l’introduzione delle primarie, alcune leggi in particolare del governo Renzi e i passi avanti nel campo dei diritti civili. Per il resto Ilva, Mose e Alitalia condannano senza appello un’intera classe dirigente.
Langella. Della politica degli ultimi quarantanni rimpiango niente o pochissimo. Qualcosa dei primi anni ottanta del secolo scorso. Ma, più che rimpianto, è la consapevolezza di come sia difficile che certe cose possano tornare. La presenza di Politici di spessore, che pure allora esistevano, appare oggi impensabile. Penso, ma sono di parte, a Enrico Berlinguer tanto per fare un esempio. Ecco, dopo la sua morte, assieme al progressivo declino del PCI, il degrado della politica italiana ha subito una decisa accelerazione e sono venuti a galla (prendendo il potere) personaggi mediocri, affaristi, avventurieri, arrivisti, veri e propri imbroglioni di ogni risma. Quello che rimpiango, oltre alla vivacità intellettuale e al fermento politico degli anni sessanta e settanta (ma siamo più in là nel tempo) è che, noi che abbiamo vissuto quegli anni, non siamo stati in grado di controbattere la marea montante di quel conformismo, di quella inadeguatezza e dell’indifferenza diffusa (dovuta in grande parte a quella rassegnazione che ha indotto molti a rinchiudersi nel “privato”) che ha permeato la politica e che è frutto anche della pretesa “morte delle ideologie”. A questo proposito vorrei tentare di spiegare una mia convinzione. Ho volutamente usato il termine “pretesa” perché le ideologie sono ancora ben vive e presenti e questo ritengo sia qualcosa di inevitabile e positivo. Il problema è che ce ne è una considerata “assoluta”, quella capitalista. Un’ideologia che, ormai, ha invaso ogni campo (politico, culturale, informativo…) annullando tutte le altre (troppo timide e oscurate per emergere).
Zanettin. La passione politica che si respirava nel 1900 oggi è scomparsa e noi politici,  educati in quella scuola, siamo tentati di rimpiangerla. Ma quella passione generò anche tanto odio e sangue, non dobbiamo dimenticarlo. Oggi la società per certi versi è certamente più pacifica, forse perché rassegnata. Considero, invece, meraviglioso seguire su twitter, pressoché in diretta, dibattiti politici che si svolgono ad esempio in Francia, Argentina o Spagna, cosa impensabile solo 10 anni fa. Io lo faccio e lo consiglio a tutti coloro che vogliono capire in che direzione va il mondo.
Una nostra “non conclusione”, che vuole essere, invece, una premessa per future discussioni dopo un primo confronto?
Ripensando a tutte le domande precedenti (e alle diverse, ma spesso compatibili, risposte) parrebbe chiaro che quello che si è perso nel nostro paese è la consapevolezza che sia necessaria l’esistenza di culture, organizzazioni e partiti che abbiano prospettive diverse e progetti magari alternativi del modello di sviluppo del paese.
Oggi, invece, siamo di fronte alla presenza di un Partito Unico (Langella direbbe “capitalista” ma noi, restringendo a “partito unico”, allarghiamo le responsabilità) composto, di fatto, da una miriade di correnti formate da gruppi parlamentari e consiliari e da pezzi di “società civile” che non mettono in discussione certo il sistema ma tentano, al massimo, di renderlo più o meno “umano”.
Ci torneremo, se vorrete con gli stessi e, ci auguriamo, anche con altri interlocutori, che già invitiamo a commentare questo primo dibattito a distanza scrivendo a cittadini@vipiu.it