Omotransfobia e DDL Zan, Michele Lucivero per Agorà: polemiche tra prevenzione della discriminazione e accuse di derive liberticide, cosa è in ballo?

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Il Popolo della famiglia Padova
Il Popolo della famiglia Padova

È stato licenziato il 4 novembre alla Camera, per essere discusso al Senato, il disegno di legge proposto dal padovano Zan, che prevede “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.

Già l’approvazione alla Camera ha suscitato da un lato entusiasmi da parte dei gruppi LGBT, ma dall’altro ha indotto non solo il controverso e multiforme Popolo della Famiglia, con il suo Presidente nazionale Mario Adinolfi e quello padovano Gianpaolo Furlan, ad intervenire sull’argomento, ma ha stimolato anche il cattolico Famiglia Cristiana a correre ai ripari per indurre nella coscienza dei senatori cattolici bipartisan un moto interiore che porti a riflettere sulla necessità di approvare una legge «che rischia di diventare un tribunale ideologico liberticida, senza alcuna reale tutela nei confronti delle persone omosessuali».

Va sottolineato, innanzitutto, che in un contesto sociale e culturale molto articolato, caratterizzato al giorno d’oggi da un diffuso pluralismo di idee, è difficile mantenere l’equilibro tra il richiamo alla buona abitudine e la richiesta di obbedienza. Tuttavia, con un po’ di approssimazione, possiamo affermare che lo scopo di una Legge, una volta approvata, è quello di stabilire un punto zero nella storia di un paese a partire dal quale alcuni comportamenti e idee devono essere adottati in maniera diffusa, pena la possibilità di incorrere in sanzioni e reati perseguibili.

Agorà
Agorà

Questo punto zero è sempre un momento significativo per la storia politica di un paese perché segna, al di là di ogni diatriba, in spregio a qualsiasi dibattito scientifico, culturale e morale ancora in corso, un punto di non ritorno. Esso stabilisce ciò che è lecito e ciò che non è lecito, inducendo da quel frangente in poi un profondo cambiamento nella società. Inutile dire, ovviamente, che si tratta di trasformazioni essenzialmente politiche e poiché ogni Stato, con i propri specifici meccanismi legislativi, crea giurisprudenza e induce cambiamenti nel comportamento dei soggetti, ne deriva che poi si giunge a delineare quelli che sono i profili identitari specifici dei singoli popoli.

Ora, detto ciò, non a caso l’Italia è uno degli ultimi paesi comunitari a recepire le raccomandazioni dell’UE, che chiede ai singoli Stati di intervenire con provvedimenti sanzionatori per prevenire le discriminazioni esplicitamente omosessuali. Arriviamo tardi, perché, evidentemente, il nostro tessuto culturale non è pronto ad accettare il cambiamento per via bonaria, come raccomandazione, per cui si rende necessario un atto d’imperio e nel momento in cui la Legge viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, noi tutti, cittadini dello Stato italiano, dovremmo, più o meno spontaneamente, abbandonare qualsiasi dubbio o riserva antropologica o culturale e accettare quell’universo di significato che la Legge stabilisce come principio normativo.

Dovremmo, cioè, per Legge, in questo caso, entrare tutti nell’ottica sancita dall’art. 1 del ddl Zan «Definizioni» e accettare ciò che, in maniera normativa, viene definito “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e “identità di genere”. Ci era già capitato, del resto, di analizzare nell’ambito del Progetto SexTeen[4], le controverse questioni biologiche e socioculturali legate all’identità di genere, ma ciò che ci interessa qui è la rilevanza politica del cambiamento semantico, linguistico e concettuale generato dal disegno di legge.

Diritti e comunità LGBT
Diritti e comunità LGBT

Pensiamo un attimo all’operazione politica con la quale Mussolini nel 1938, dietro il suggerimento di Bruno Cicognani, stabilì che l’uso del “Lei” per i toni di cortesia era effemminato ed esterofilo, per cui andava sostituito con il più virile e latino “Voi”. Da quel momento in poi in tutta Italia fu imposto negli uffici pubblici e nella scuola l’uso del “Voi”, come avviene, purtroppo, ancora oggi in molte realtà meridionali, mentre dalle famiglie fu largamente accettato come uso quotidiano. Si trattò indubbiamente di un’operazione arbitraria, non necessaria, non dettata da obbedienza a leggi di natura o al volere di Dio, ma semplicemente di una scelta politica: in sostanza le parole veicolavano un preciso messaggio politico in grado di trasformare i rapporti tra le persone, i comportamenti, l’intera società.

È chiaro che, al di là delle manifestazioni più folcloristiche da una parte e più retrograde dall’altra, che pure ci sono e destano imbarazzo, qui è in ballo un profondo scontro di valori tra due schieramenti opposti ed equivalenti. In quest’ottica il ricorso allo strumento legislativo appare l’extrema ratio di una trasformazione politica e culturale indotta, non condivisa e che al primo cambio di Governo, appena l’ago della bilancia sarà un po’ più sbilanciato, sarà spazzata via. In questo modo, però, non viene affatto appianata quella che resta un’importante diatriba etica tra due fronti inconciliabili, supportati da potenti agenzie morali, tra cui la Chiesa cattolica e il movimento globale per i diritti LGBT, che non riescono a dialogare per convergere verso un comune universo linguistico, figuriamoci se possono accettare in maniera definitiva un atto normativo in un ambito morale così delicato.


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a cura di Michele Lucivero

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