Tra le varie notizie di questi ultimi due giorni, alcune che riportano fatti gravissimi come l’infame tentativo della Turchia di annientare il popolo Curdo e di annettersi parte del territorio siriano o le varie dichiarazioni quasi tutte entusiastiche dei parlamentari di ogni corrente dell’ormai “partito unico del capitale” sul taglio dei parlamentari, si può trovarne una che conferma come, nel nostro paese, morire di lavoro (o, meglio, a causa di come i padroni considerano la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto un costo) sia considerata una fatalità normale che non ha mai responsabili. Qualcosa a cui non si fa più caso perché, ormai, fa parte del panorama.
La notizia alla quale mi riferisco è relativa alla sentenza della Cassazione che ha confermato l’assoluzione in Appello di Carlo De Benedetti e altri imputati (tra cui il fratello Franco e Corrado Passera) per la morte di 12 lavoratori della Olivetti di Ivrea causata dall’esposizione all’amianto e che aveva portato alla condanna in primo grado dell’imprenditore a 5 anni e due mesi di carcere.
Assolvere padroni, dirigenti e manager non è un caso ma il solito copione che viene recitato troppo spesso. E, quando le condanne ci sono, queste sono “benevole”, piene di attenuanti, si direbbe “ridicole”. Il risultato, in ogni caso, è che la giustizia per chi muore di lavoro e sul lavoro resta sempre o quasi un’utopia. Al massimo qualcosa che si può monetizzare in qualche migliaia di euro dal momento che, nel sistema nel quale viviamo, anche la salute e la vita hanno un prezzo più o meno di mercato. Accade sempre o quasi.
È successo nel primo processo Marlane Marzotto con l’assoluzione di tutti gli imputati nonostante che, nelle motivazioni della sentenza, si scrivesse chiaramente che molto di strano, anomalo e pericoloso era successo ed era stato verificato, che l’inquinamento prodotto da pratiche (diciamo così) improprie c’era stato ed era devastante e che le condizioni di lavoro che dovevano affrontare giornalmente gli operai erano (usando un eufemismo) inadeguate e insufficienti. A Praia a Mare oltre 100 lavoratrici e lavoratori morti di cancro non hanno avuto giustizia. Si, certo, sono morti per le condizioni che accettavano pur di lavorare, ma nessuno, se non loro stessi, ne era responsabile. Lo stesso o qualcosa di simile è successo all’Olivetti di Ivrea. Dodici lavoratori sono morti di mesotelioma tra il 2010 e il 2013, altri continuano ad ammalarsi ma non c’è nessun colpevole. Il messaggio che si vuole dare è chiaro: “O accetti di lavorare e vivere in maniera precaria (in tutti i sensi) o puoi restare a casa. Nessuno ti obbliga e poi, queste, sono le leggi del mercato.”
Di fatto chi muore di lavoro e nel lavoro è colpevole. Chi, invece, trae profitto personale e di impresa da una situazione spesso insostenibile, chi prova solo indifferenza di fronte alle condizioni che chi lavora deve accettare, chi ritiene che è giusto diminuire i costi del lavoro compresi quelli della sicurezza perché bisogna essere competitivi, chi decide e comanda non è mai responsabile di niente. Anzi, viene ringraziato perché “dà lavoro” e “crea ricchezza”. Se poi viene definito “padrone illuminato” come De Benedetti, i vari Benetton o un qualunque Marzotto diventa quasi “simpatico”, qualcuno da ringraziare e riverire. Un benefattore.
Siamo proprio messi male.