La mossa è politicamente raffinata. Sergio Mattarella, contestualmente alla firma del decreto sicurezza e immigrazione, invia una lettera al presidente del Consiglio, secondo un’antica tradizione quirinalizia. Perché avverte “l’obbligo” di sottolineare che, in materia, restano “fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo e, in particolare, “quanto disposto dall’articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia”. Come del resto è affermato nella Relazione di accompagnamento al decreto.
Art. 10 Cost. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Diciamo le cose con un linguaggio meno paludato. Non spettava a Mattarella un giudizio di merito su un testo, indubbiamente securitario, che è quanto di più lontano dalle sue convinzioni, dalla sua sensibilità, dalla sua vita di cattolico democratico. L’esame di costituzionalità, dopo una seria “limatura” del testo affidata agli uffici, non è un esame di merito politico. Né il Colle è un contropotere che può fare dell’esercizio delle sue prerogative l’occasione di un conflitto. Però, per stare nell’abusata metafora dell’arbitro, è vero che il capo dello Stato non ha bloccato l’azione, ma ha segnalato, in qualche modo, che siamo al limite del fuorigioco in relazione ai nodi legati alla materia della sospensione della protezione umanitaria.
La sottolineatura di Mattarella riguarda in maniera particolare la salvaguardia dei migranti con riferimento alla presunzione d’innocenza. Nelle sue versioni iniziali il “decreto Salvini” prevedeva la revoca immediata della protezione per gli stranieri accusati di una lunga serie di reati. Testo successivamente riscritto che ora prevede un riesame della posizione degli stranieri denunciati da parte delle commissioni territoriali, che sono organi amministrativi nell’orbita del Viminale, composti da un viceprefetto, un funzionario di polizia, un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato-autonomie locali, e un delegato dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati.
È un passaggio delicato che non mette di per sé al riparo da possibili violazioni della Carta, proprio perché il testo si può prestare a margini di discrezionalità. Il testo definitivo prevede che “la Commissione territoriale competente per il riconoscimento della protezione internazionale provveda nell’immediatezza all’audizione dell’interessato e adotti contestuale decisione”. Non serve, per l’allontanamento, una condanna definitiva e neanche esclusivamente una condanna di primo grado, ma può bastare solo la semplice denuncia da parte delle forze dell’ordine per reati “pericolosità sociale”.
È tesa a ridurre questi margini di discrezionalità la sottolineatura del capo dello Stato. In modo da evitare che, nell’applicazione, qualche funzionario possa essere più realista del re. Ecco il punto: gli apparati dello Stato sono una realtà complessa. Non è in discussione la fedeltà alle istituzioni, ma gli apparati “interpretano” fisiologicamente anche ciò che non è scritto, ma lasciato intendere, perché, quando ci sono margini di discrezionalità, può contare il clima e il contesto. E non c’è dubbio che sta prendendo corpo un messaggio di radicalizzazione politica e simbolica, e una mutazione genetica della figura stessa del ministro dell’Interno da figura di garanzia a ministro dell’Ordine. Ricordare “l’articolo 10 della Costituzione” e gli obblighi sanciti dai trattati internazionali, significa dare una bussola nell’applicazione, mettendo al centro le regole e non il condizionamento ambientale: “L’ordinamento giuridico italiano – fa notare ora Mattarella – si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”.
di Alessandro De Angelis, da HuffingtonPost