Denatalità in Veneto, dati su cui interrogarsi come Italia e come Europa

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Denatalità
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Il calo delle nascite è argomento statistico, ma anche quotidiano. Le ragioni (più o meno giustificatorie) che abbozziamo alle nostre tavole sono le più svariate: Pandemia, lavoro, crisi, incertezza… a queste ragioni e a una lucida analisi della situazione veneta si dedica l’Ufficio statistico regionale con le statistiche flash di maggio.

Premesse di questa fotografia è la diminuzione del tasso di fecondità delle donne in Veneto (ma anche in Italia e in Europa) che è arrivato ai minimi storici di 1,07 figli per donna nel 1994. La ripresa successiva a partire dagli anni Duemila è imputabile principalmente all’apporto positivo dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane e con una maggiore propensione a fare figli rispetto alle donne italiane, ma anche questo trend è ormai in calo.

I fattori strutturali della (de)natalità

Oltre all’oggettiva diminuzione di donne in età feconda già menzionata, negli anni si è rivoluzionato anche il modello di fecondità: il numero medio di figli che una donna mette al mondo è sceso in Veneto da 1,46 del 2008 a 1,28 del 2020 (1,24 in Italia); la stima per il 2021 è di poco superiore: 1,29 per il Veneto e 1,25 per l’Italia. Anche le donne straniere, seppur con un tasso di fecondità più alto (2,06 figli rispetto a 1,15 delle italiane) risentono del fenomeno (il loro tasso di fecondità era di 2,62 nel 2008).

Il dato è condizionato dal fatto che le famiglie composte da stranieri, generalmente con reddito più basso, risentono maggiormente delle difficoltà economiche indotte dalle crisi; contestualmente, vi è una tendenza da parte degli stranieri ad adeguare modelli e abitudini alla realtà in cui ci si trova, entrando in contatto e sperimentando differenti stili di vita rispetto a quelli del Paese di provenienza. Per concludere, anche lo spostamento della maternità verso età più avanzate contribuisce all’abbassamento della natalità poiché si accorcia il tempo fecondo a disposizione per avere il numero desiderato di figli o si rischia di non averne affatto. In Veneto, oggi, una donna partorisce mediamente a 32,3 anni e aumenta la quota di madri ultraquarantenni al parto (5,5%) anche tra le primipare (4,3%).

Lo shock della Pandemia sulla natalità

Sicuramente l’incertezza legata alla pandemia è stato un fattore determinante per il crollo della natalità, ma non sembra essere l’unico e a testimoniarlo sono gli stessi dati veneti. La situazione nel territorio è infatti diversificata, con Rovigo e soprattutto Verona che, nell’ultimo anno, segnano perdite più significative a livello regionale, mentre Vicenza risulta in controtendenza, guadagnando nati e confermando livelli di fecondità tra i più elevati in regione. Inoltre, se si analizzano le principali caratteristiche dei genitori si vede che in Veneto, come in Italia, la riduzione delle nascite del 2020 riguarda soprattutto le coppie con madri più giovani (-6,2% vs media 2018-19) ed esclude le età più avanzate che, presumibilmente per timore di procrastinazioni che potrebbero compromettere i progetti riproduttivi, presentano invece un aumento.

Le previsioni

Secondo le previsioni di Istat, nello scenario “mediano”, superato lo shock di breve termine imposto dalla pandemia, le nascite dovrebbero intraprendere un trend di lieve recupero fino al 2040, per poi scendere di nuovo fino al 2050. L’incremento dei nati previsto per i prossimi due decenni risente di un’ipotesi di fecondità in rialzo, dall’attuale 1,25 figli per donna all’1,49, e del maggior numero di donne di età 30-35 anni, che, trattandosi della classe di età più prolifica, va ad aumentare il potenziale riproduttivo. Successivamente, nonostante il tasso di fecondità supposto sempre in crescita, non si dovrebbe produrre un rialzo ulteriore delle nascite, in quanto le donne in età fertile tenderanno a diminuire nonché a invecchiare.

Natalità in UE e soluzioni “europee”

In Europa il tasso di natalità medio dell’UE27 è sceso da 10,4 nati per mille abitanti a 9,1. In questo periodo solo due Paesi hanno accresciuto la natalità (Germania e Ungheria) e in un Paese è rimasta stabile (Austria); tutti gli altri hanno visto perdite anche vistose (Irlanda, Spagna). L’Italia è il Paese con il tasso di natalità più basso dell’UE (6,8%) e che nel decennio ha subito una delle perdite più consistenti; il Veneto segue con un tasso di natalità inferiore e pari a 6,7%. Per quanto riguarda invece il tasso di fecondità delle donne l’Italia al terz’ultimo posto in Europa, dopo Malta e Spagna; il valore più elevato, invece, si registra in Francia con 1,82 figli per donna.

Diversi studi confermano il ruolo che l’incertezza lavorativa e la conciliabilità vita-lavoro hanno sulle intenzioni di fecondità. Politiche più incisive per i giovani, le donne e l’infanzia sono cruciali per contrastare il declino della natalità; questo è particolarmente vero tenuto conto che proprio donne e giovani sono tra le categorie più colpite dalle ricadute sociali ed economiche della pandemia. Proprio e anche per questo il PNRR ha tra le priorità trasversali a tutte le sue Missioni la parità di genere e generazionale. Tra gli altri interventi, il PNRR finanzia il potenziamento dei servizi alla prima infanzia, nella sua duplice valenza di importante stimolo pedagogico per i bambini e di sostegno all’occupazione femminile e alle scelte generative delle famiglie.

Tra “caso Elisabetta Franchi” e costante equilibrismo delle donne per godere pienamente dei loro diritti c’è spazio per una provocazione: e se semplicemente le donne non volessero più avere figli? Nella complessità delle cause, riflettiamoci.