Derivati, parte III. Intervista con l’on. Alvise Maniero (M5S): contratti segreti che “dissanguano” lo Stato e gli enti locali

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On. Alvise Maniero (M5S)
On. Alvise Maniero (M5S)

«Formule che valgono milioni perché possono generare miliardi»: così definisce i contratti derivati Alvise Maniero, deputato del Movimento 5 Stelle, già sindaco di Mira dal 2012 al 2017 e ora componente delle commissioni Banche e Finanza. Gli abbiamo chiesto di fare un po’ di luce su una vicenda di cui si sente parlare poco, sia da parte delle istituzioni che da parte della stampa. Solo nella scorsa legislatura sono iniziate le interpellanze al Tesoro per cercare di capire qualcosa di questi contratti tenuti segreti ma che assorbono ancora oggi tra i 3 e i 5 miliardi di euro all’anno dalle casse dello Stato. Queste “assicurazioni” stipulate, all’inizio, con le banche per tutelarsi dal rialzo dei tassi d’interesse nel giro di qualche anno si sono rivelate invece dei salassi.

Ma non è solo lo Stato ad esserci cascato. Anche comuni, province e regioni si sono trovati intrappolati in questi strumenti finanziari, «contratti indecifrabili a chiunque tranne a chi li vendeva». Ed è proprio un comune, quello romagnolo di Cattolica, che nel maggio scorso ha visto riconfermata dalla Corte di Cassazione la sua ragione nei confronti di BNL, all’interno di un contenzioso sorto proprio a causa di uno di questi contratti. La sentenza ora potrebbe venire “utilizzata” da altri enti locali nella stessa situazione di Cattolica, addirittura dallo Stato.

La materia dei derivati, on. Maniero, è abbastanza complessa, ma è possibile dare una definizione in generale? Quali sono le caratteristiche di questi strumenti finanziari?

«Il derivato è un prodotto finanziario il cui valore “deriva” appunto dal cosiddetto sottostante (un altro asset finanziario oppure un indice, ad esempio, azioni, indici finanziari, valute, tassi d’interesse o anche materie prime, ndr). È quindi un pezzo di carta con sopra scritta una formula che dice: “Il mio valore è x volte y”. E già da qui capiamo che un derivato può essere qualunque cosa. Io l’ho espresso così, ma alcuni derivati si esprimono in formule matematiche estremamente complesse, che vengono elaborate da interi team di matematici pagati profumatamente a livello globale: dalla City di Londra agli Stati Uniti e alla Cina. Sono formule che valgono milioni perché possono generare miliardi. Un derivato può, quindi, essere qualunque cosa: un ottimo sistema di assicurazione e di protezione, come una terrificante trappola finanziaria che farebbe impallidire i peggiori casi di carte di credito revolving per le quali non ci si rende conto e ci si trova affogati nei debiti.

In alcuni casi possono essere anche dei mutui mascherati. Un ente pubblico, e non solo, ha dei limiti a stipulare dei rapporti di indebitamento formalmente. Allora cosa fa? Dice: “Non sto stringendo un mutuo, ma sto formalizzando un derivato che mi copre contro un rischio”. Un rischio molto spesso di cambio e in questo caso si chiama Interest rate swap. Si scambiano pagamenti calcolati sulla base di due tassi di interesse e, a seconda di com’è costruito il contratto, se questo tasso dovesse variare a mio sfavore, io sarò coperto contro questo rischio. Nella realtà, nei casi che vediamo dei Comuni ma soprattutto per lo Stato – che rappresenta il 95% della perdita per prodotti derivati pubblici -, sono dei prestiti mascherati: è sicuro che ci perderò e di fatto pagherò un interesse ma “incasso” dei soldi subito alla sotoscrizione del derivato. Alla fine un derivato si riduce ad un trasferimento di denaro da una parte all’altra.

Spesso noi siamo critici con alcune regole europee, e a volte anche a ragione, ma in questo caso ci sono stati dei regolamenti euroepi che hanno concretamente contribuito alla trasparenza, come Eurostat. Dai primi anni del 2000, Eurostat ha chiarito che nei bilanci pubblici un certo tipo di prodotti sono debito e non li posso più nascondere sotto l’etichetta dello swap o derivato di copertura. Se stai facendo un debito, pagherai un interesse e così lo devi scrivere a bilancio».

Come mai, se adesso questi contratti sono così invisi a tutti, negli scorsi anni venivano invece sottoscritti in grande quantità? Si guadagnava qualcosa all’inizio?

«Questi contratti si facevano alla grande perché ad alcuni convenivano alla grande, almeno al momento, ma alla lunga convengono a molto pochi. E, nel caso di contratti pubblici, di sicuro non ai cittadini.

Generalmente nel breve periodo l’ente pubblico che li sottoscriveva aveva un vantaggio: il cosiddetto upfront. Sottoscrivo quindi un contratto che prevede una serie di assicurazioni, ma io – banca che ti vendo il derivato – ti do subito una bella iniezione di liquidità. E questo sappiamo quanto possa far piacere ad un sindaco o ad un amministratore di regione, magari un anno prima delle elezioni. Non è per niente male. Se poi un ente è pure in difficoltà finanziaria, nel breve periodo mi toglie l’impiccio di qualche strettoia contabile formale.

Però poi casca il palco. Succede che, pochi anni dopo, quasi tutti questi contratti vanno male per il pubblico e benissimo per le banche che li hanno venduti. Ma se per i comuni o le regioni si parla di centinaia di migliaia, magari anche niero, centinaia di milioni di euro, per lo Stato parliamo di miliardi di euro all’anno che se ne vanno dalle nostre tasse a delle grandi banche d’affari. Per di più questi contratti sono super segreti. Io non ne ho mai potuto vedere uno e ora, tramite la Commissione Banche, stiamo faticosamente cercando di accedervi».

On Maniero, nel corso degli anni sono stati presi una serie di provvedimenti da parte del legislatore in merito a questi contratti. Nel 2013 sono stati vietati e il 12 maggio scorso è arrivata un’importante sentenza della Cassazione, che è andata a risolvere un contenzioso proprio su uno di questi contratti tra il Comune di Cattolica e BNL. Cosa dice di questa sentenza e come mai è così importante?

«Secondo la legislazione fino al 2013 un ente pubblico non poteva contrarre derivati speculativi, ma poteva stipulare quelli di copertura che lo assicurassero contro un rischio. Gli effetti li abbiamo visti bene. Nel 2013, poi, interviene una norma che dice di non sottoscriverli più, sia derivati di copertura sia speculativi. Infine arriva la sentenza della Cassazione di questo maggio che interviene in favore del Comune di Cattolica, respinge i ricorrenti e dà ragione al comune, integrando la sentenza d’appello con dei contenuti che sono pazzeschi.

Quello minore dice che contratti di questo tipo, che costituiscono indebitamento per l’ente pubblico, li deve deliberare il Consiglio comunale. Non li può sottoscrivere la Giunta, non può dare mandato di farlo e tanto meno lo può fare il responsabile finanziario dell’ente da solo come fosse un atto gestionale. Questo è a tutti gli effetti un atto di indebitamento che non può che essere autorizzato dal Consiglio comunale. E non basta una linea d’indirizzo, come si è fatto nel caso di Cattolica. Ci dev’essere una formale autorizzazione a stringere un contratto.

Inoltre, e questa è la parte importante, devono essere espliciti tutti i costi, anche quelli occulti. E se non si possono determinare i costi di questo indebitamento bisogna inserire gli scenari probabilistici. Bisogna poter dire: “Guarda, nel 90% dei casi andrà così”. Sai già che parti in un certo modo. Se uno scenario probabilistico dice che nel 90 per cento dei casi ci perdi e la banca ci guadagna, quale amministratore pubblico può sentirsi autorizzato a perfezionare un contratto di questo tipo? Non lo puoi fare. Il fatto che manchi lo scenario probabilistico già invalida il contratto: è nullo di fronte alla legge.

Questo vuol dire che da domani non solo non pago più la banca, ma per tutti i soldi che ho dato fino a quel momento non c’è titolo di legge che li giustifichi. Un ente può prendere in mano la sentenza e il giorno dopo dire: “Cara banca, tu mi ridai indietro il maltolto”.

Infatti, prima di questa sentenza, le banche annusando l’aria hanno fatto tutta una serie di accordi transattivi con i comuni per chiudere lì la cosa e stracciare quello che c’era prima. Tu eviti di fare una causa ad una banca internazionale e io non ti chiedo più quello che ti chiedevo prima. Accordi di questo tipo se ne sono visti in tutta Italia».

Qualcuno però non sembra essere d’accordo con questa visione. Un intervento sul Sole 24 Ore parla addirittura di “sentenza da maneggiare con cura”. Se tutti gli enti che hanno stipulato dei derivati con le banche da un giorno all’altro impugnassero questa sentenza per dichiarare la nullità dei contratti, non potrebbero sorgere dei problemi?

«È giusto, dobbiamo prendere atto di tutte le facce della medaglia, ma non dimentichiamoci la prima. Gli enti pubblici non possono giocare a dadi con i soldi pubblici. Lei si immagini un comune di 20-30 mila abitanti che si mette a siglare un contratto per il quale nessuno sa dire cosa succederà tra un anno o due. Un ente non può fare scommesse, non può giocare a carte con i soldi delle tasse. E questo è il senso della sentenza, che ovviamente ha dei riferimenti costituzionali.

Secondo aspetto: il problema che causerebbe alle banche. Ma per gli enti locali, province, regioni e Stato, invece, che problemi ha già causato? Guardiamo i dati: si parla di una trentina di miliardi in sette anni, fino al 2015, pagati dallo Stato direttamente alle banche. Di fronte a cifre di questa magnitudine anche l’interesse pubblico va ponderato.

Col panorama finanziario di oggi, poi, è ancora più facile rispondere. A livello europeo, infatti, la mole di liquidità “parcheggiata” dalle banche europee presso Bce è di poco superiore ai 3000 miliardi. Per intenderci, per gli Stati si parla di una liquidità di circa 700-800 miliardi. Soldi fermi nelle casse, garantiti dalla Bce ma che non vengono investiti.

Io non credo che quei derivati metterebbero in crisi il sistema bancario. Può metterlo in crisi l’andamento dell’economia, ma non saranno questi “ladrocini” a provocare delle difficoltà. Potrebbero invece generare interessanti inchieste su come mai una serie di enti hanno sottoscritto dei contratti indecifrabili a chiunque tranne a chi li vendeva».

In Veneto come siamo messi?

«Essendo anch’io veneto non potevo resistere alla curiosità. Nelle scorse settimane ho fatto un formale accesso agli atti alla Regione Veneto proprio per avere i contratti. Dal 2017 al 2019 abbiamo avuto sempre tra gli 8 e i 9 milioni di euro all’anno che se ne sono usciti dalle casse della nostra regione e sono andati in quelle di qualche istituzione finanziaria. Non sono un disastro per il Veneto, visto che ha un bilancio di 11 miliardi. Però, per quale motivo stiamo dando questi milioni all’anno ad una banca? In base a quali contratti? Io sono molto curioso di vederli. Quelli che abbiamo già visto hanno suscitato parecchie domande e magari anche questi potrebbero dirci qualcosa.

I dati che ho potuto vedere, accedendo al portale Soldipubblici.it attraverso la Ragioneria generale dello Stato, mostrano che regioni da Nord a Sud e 190 comuni sono coinvolti da questi contratti. E tra questi ci sono i dati per quanto riguarda la Regione Veneto che le ho dato. Ma ci sono poi anche molti comuni che hanno derivati: da Venezia a Verona. Sono un po’ dappertutto».

Nel programma 2020-2023 della Commissione Banche è stato inserito un focus sui derivati. Lei chi vorrebbe vedere in audizione?

«Noi vedremo un rappresentante del Tesoro. Sarà poi il Mef a decidere quale alto funzionario inviare, ma questa è una convocazione che è già stata fatta. Una richiesta fatta formalmente e non chiedendo solo l’audizione, ma soprattutto i documenti in anticipo. Questo lo rivendico prima di tutto come cittadino: noi dobbiamo poter vedere quali sono gli atti che generano questo dissanguamento.

Sono contratti molto complessi a cui finora non ha potuto ancora accedere nessuno. Non ci è riuscita la precedente Commissione Banche; in alcuni casi solo delle autorità giudiziarie. Sono segretissimi e durante la scorsa legislatura la dottoressa Maria Cannata – la precedente responsabile del debito del Tesoro –, quando durante le audizioni veniva interpellata nello specifico, si trincerava dietro un informale segreto di Stato. Informale ma effettivo, nel senso che quelle carte non le ha volute dare e non le ha viste nessuno, neppure la precedente Commissione Banche e la precedente Commissione Finanze. E questo, per me, è un motivo più che sufficiente per metterci il naso.

L’attuale ministro delle Finanze Gualtieri, rispondendo ad una mia interpellanza, ha anticipato che comunque intende dare una grande collaborazione e garantire la trasparenza sul tema dei derivati. Non vedo l’ora di vedere il seguito fattuale».

Vedremmo anche noi volentieri, on. Maniero, cosa… deriverà da questa trasparenza promessa sui… sottostanti segreti.