L’approfondimento filosofico della tematica del piacere sessuale va condotta a partire dalla linea sottile che lega il desiderio, vale a dire la voglia di provare un’emozione forte connessa con tutto il corpo, che interessa gli organi genitali, ma anche il cervello, e il suo abuso, cioè quella situazione che diventa sconveniente e genera disagio all’interno di un contesto sociale e personale, ciò che viene variamente definito lussuria, intemperanza, incontinenza sessuale.
Da questo punto di vista, storicamente si tende erroneamente a contrapporre la morale cristiana e quella greca, sostenendo che la mortificazione della carne sancita da alcune tendenze del Cristianesimo abbia stravolto la concezione di un piacere praticato molto più liberamente nell’antica Grecia. Certamente vi erano nell’antica Grecia correnti filosofiche che ritenevano che l’ebbrezza, intesa in questo caso come eccesso di piacere nel bere, mettesse in contatto con la divinità oppure vi erano personaggi come Diogene di Sinope, che si masturbava in pubblico perché riteneva che non ci fosse nulla di male a soddisfare un piacere in pubblico, ma occorre dire che anche negli anni ’60-’70, nel contesto ebraico-cristiano, c’è chi ha ritenuto possibile vedere Dio in condizioni alterate dalla coscienza, assumendo droghe, acidi, LSD in particolare.
Ecco, semmai, la differenza tra il complesso morale dell’antica Grecia e quello cristiano sta nel fatto che nel primo vi fosse una sorta di multiforme pluralismo etico, per cui alla fine ognuno decideva di seguire un determinato orientamento morale, pur nel rispetto delle leggi della città, che variavano anch’esse, e in accordo ad una certa forma di onorabilità della persona, particolarmente richiesta in funzione della visibilità pubblica, dell’esercizio di una carica politica, militare, civile, mentre nella dottrina del cristianesimo, abbiamo a che fare con una forma di universalismo morale, che tenta di conformare i comportamenti morali sotto la spinta di una precettistica univoca, che stabilisce chiaramente ciò che è lecito, inteso come virtuoso e santo, e ciò che è illecito, considerato come peccaminoso.
Quindi, pur essendo formalmente la lussuria per i cristiani uno dei sette vizi o peccati capitali e l’intemperanza per i greci un atteggiamento da evitare per condurre una vita all’insegna della saggezza, fare del vivere un’arte, sta di fatto che in entrambi i contesti la linea che conduce dal desiderio al piacere sessuale richiede un’attenzione particolare per non sconfinare nell’eccesso, ritenuto rispettivamente dannoso o sconveniente per sé o per la comunità.
Nell’esperienza greca degli aphrodisia, cioè dei piaceri, l’attenzione è riposta nel legame che tiene insieme il desiderio, il piacere e l’atto. Qui non è propriamente la forma di questi tre elementi a costituire il problema, ma la dinamica che li lega, perché ciò che determina il discrimine tra il godimento di un piacere e il suo eccesso dipende da due variabili: la quantità, nel senso che l’intensità nel numero e nella frequenza costituisce un problema e la posizione o il ruolo, senza distinzione tra maschi e femmine, che implica l’essere attivo in tale rapporto. Questi comportamenti determinano la differenza tra la l’intemperanza o l’incontinenza, due comportamenti sconvenienti, laddove la prima indica il seguire deliberatamente cattivi principi, mentre l’incontinenza sarebbe un lasciarsi trasportare per debolezza, per cattive influenze, nonostante si conoscano i buoni principi. Ne deriva, quindi, che per i greci l’attività sessuale è un aspetto naturale, che accomuna gli uomini e gli animali, per cui non può essere cattiva in sé, tuttavia occorre non eccedere, saperla praticare.
Per i cristiani, invece, come sostiene Enzo Bianchi in Lussuria, Il rapporto deformato con il corpo e la sessualità, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo 2012, gli eccessi del piacere sessuale vengono semantizzati come lussuria, un vizio del corpo e dell’anima, che prende le mosse dalla ricerca del piacere senza finalità o, meglio, senza quella finalità indicata da Dio nel progetto che ha stabilito per l’uomo. Nell’ottica cristiana il desiderio sessuale è santo, il piacere connesso con il soddisfacimento sessuale è santo, ma occorre praticarlo nelle forme corrette, sembra che si possa quasi parlare di una ortosessualità, di ortoprassi della sessualità, ed evitare tre derive, che permettono al piacere di scadere in lussuria: la fusione, cioè praticare una relazione di mero consumo, come nel caso della prostituzione, la focalizzazione su di sé, si tratta dell’autoerotismo, e il rifiuto della differenza, che, detto in altri termini, sembra trattarsi del rifiuto della relazione omosessuale.
Oggi il Catechismo della Chiesa Cattolica considera l’omosessualità come un’inclinazione oggettivamente disordinata, contraria alla legge naturale, che in nessun modo può essere approvata, ma che merita il giusto rispetto, nella speranza che per mezzo della castità anche le persone omosessuali possano giungere alla perfezione cristiana: «Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione (2357-9 CCC).
Michele Lucivero
per progetto Sexteen (La sessualità degli adolescenti. Quanti punti di vista?)
Qui primo approfondimento:
Il sexting, prof. Michele Lucivero: la spettacolarizzazione dell’intimo
Qui il secondo:
Adescamento online: il desiderio proibito e la ricerca della cura
Qui il terzo
Qui il quarto
Identità di genere: maschio o femmina li creò… ma poi venne la teoria gender!
A seguire i prossimi
Michele Lucivero è filosofo e docente di ruolo presso la scuola pubblica