Doveva essere il grande ritorno in piazza della destra – scrive nel suo articolo sul 2 giugno Tommaso Rodano su Il Fatto Quotidiano – alla fine sarà una festicciola per pochi intimi. La manifestazione contro il governo convocata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni (ma c’è pure Antonio Tajani di Forza Italia) si è trasformata in una rimpatriata di dirigenti e uomini di partito. Per stessa ammissione degli organizzatori. “Dobbiamo rispettare regole e disposizioni sanitarie che rendono impossibile una partecipazione massiva aperta a tutti i cittadini”. Un paradosso: una protesta senza cittadini. Che senso aveva allora convocare un corteo in piena emergenza (e per giunta nel giorno della festa della Repubblica)? Mistero. Alla fine stamattina a Roma saranno più o meno come gli spartani: massimo 300.
Fiutata l’aria, è stata proprio Giorgia Meloni a dire ai suoi che non è il caso di partecipare: “Non vi chiediamo di venire, perché non conosciamo ancora la curva dei contagi, vogliamo una manifestazione sicura e non vogliamo dare alcun alibi al governo per giustificare i suoi fallimenti. In piazza vi aspettiamo il 4 luglio, per una grande manifestazione nazionale”.
Festa rimandata. Eppure Salvini l’aveva lanciata così: “Il 2 giugno tutti a Roma”. Era l’occasione “per dare voce al dissenso degli italiani che non credono più nelle promesse del governo”. E pure le piazze da riempire, che prima erano “100 in tutta Italia” sono diventate forse una settantina.
NELLA “SPALLATA” che svanisce però c’è una notizia: alla coppia Salvini-Meloni si è aggiunto il profilo ingombrante di Luca Zaia. Il governatore leghista del Veneto non ha fatto sapere se sarà in piazza fisicamente o solo in spirito, ma ha dato la sua benedizione pubblica all’evento: “Sostengo la manifestazione ma non so ancora se ce la farò a esserci. Abbiamo alla stessa ora la videoconferenza”, ha detto, riferendosi al punto stampa quotidiano nella sede della protezione civile di Marghera (Venezia) per rispondere alle domande sul Covid. Per lui è una giornata piena di impegni, come al solito, sul fronte dell’emergenza. Zaia però vuole partecipare (magari al corteo di Mestre), perché vuole essere presente. Politicamente.
“Cercherò di far combaciare le due cose – ha detto ai giornalisti –. Tranquilli, avrete la mia foto con la bandiera italiana”. Nel giorno della festa della Repubblica, infatti, il tricolore è il simbolo esposto dalla destra per protestare. Le sue parole sono interessanti per diverse ragioni. Primo: è curioso che il presidente del Veneto si tolga la fascia e scenda in piazza durante un’emergenza nazionale, per manifestare contro lo stesso governo con il quale è seduto quotidianamente al tavolo (per lavorare sulla stessa emergenza). Una contraddizione anche logistica, diciamo: se Zaia non sarà accanto a Meloni e Salvini è perché si troverà nella sede della Protezione Civile, un dipartimento di Palazzo Chigi.
IL SECONDO motivo di interesse è tutto politico: oggi, di fatto, Zaia potrebbe avvicinare simbolicamente la sua discesa in campo. Indicato da più parti come la vera alternativa moderata al leghismo radicale di Matteo Salvini, il governatore fino a ieri si era sempre tenuto lontano dalla materia. Ora, a quanto pare, è pronto a togliersi i guanti. Con la sua adesione alla piazza anti-Conte della destra, Zaia batte un colpo: decide di far pesare la sua figura e il consenso che si è mosso attorno a lui negli ultimi mesi (proprio mentre quello di Salvini si riduceva sensibilmente).
A tal proposito, c’è una scelta simbolica altrettanto potente: Zaia stasera sarà l’ospite d’onore della trasmissione Fuori dal coro, tempietto mediatico del salvinismo su Rete 4, intervistato dal padrone di casa Mario Giordano. Insomma Zaia c’è, e per Salvini non sembra affatto una buona notizia.
Proprio mentre il “capitano” soffre pure a destra per le iniziative di Giorgia Meloni. L’ultima trovata della leader di Fratelli d’Italia è stata la richiesta di poter deporre – insieme agli alleati – una corona d’alloro al monumento del milite ignoto sull’altare della Patria. Iniziativa impedita dal cerimoniale di Palazzo Chigi e dal ministero della Difesa: quel gesto – oggi come sempre – spetta al presidente della Repubblica. Ieri Sergio Mattarella ha lasciato trasparire il fastidio per le “divisioni inaccettabili” di questi giorni e ha ricordato che le celebrazioni del 2 giugno sono un patrimonio nazionale e non materia per divisioni e propagande.
Come le marce di partito. A Roma comunque saranno in pochi.
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