Droga, alcolismo, tabagismo, ludopatia, autolesionismo, obesità, anoressia, bullismo, baby gang, hikikomori. Questo è l’elenco dei fenomeni che recentemente, in un post che ha avuto risonanza nazionale, una parte politica del nostro paese ha racchiuso sotto il cappello delle devianze giovanili, devianze che sarebbero problematiche per la società e andrebbero combattute attraverso la diffusione dello sport (magari riducendo i fondi al sistema sanitario).
L’intento di “normalizzare” la diversità non ha ottenuto l’esito desiderato, perché gran parte dell’opinione pubblica ha comunque riscontrato la semplificazione di un problema ampio e complesso, attraverso la panacea dello sport, quando tali problematiche rimandano a categorie nosografiche presenti nel DSM-5 (dall’inglese Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzati in ambito internazionale, sia nella pratica clinica sia nell’ambito della ricerca.
Il manuale, oggi alla 5ª edizione, viene redatto prendendo in considerazione lo sviluppo e i dati derivanti dalla ricerca psicologica e psichiatrica in diversi campi, cosa che consente di introdurre nuove definizioni di disturbi mentali o modificare quelle già esistenti.
Non entro nel merito politico della questione, né del sistema di valori che sottende il tipo di messaggio inerente alle devianze giovanili, perché non è questo l’ambito, né è di mia diretta competenza. I disagi ed i disturbi elencati, tuttavia, sono però di diretta competenza psicologica e ritengo sia interessante approfondirli.
Anzitutto, cosa si intende per devianza in psicologia?
La devianza è la tendenza a compiere gesti trasgressivi nei confronti dell’autorità e dell’ambiente, rappresentano una delle modalità con cui l’adolescente si confronta continuamente durante la crescita. Il comportamento adolescenziale “deviante” è frutto di una molteplicità di fattori di rischio che riguardano l’area biologica, psicologica e sociale (Maguin e Loeber, 1996; McCord, McCord, Zola 1959).
Perché, dal punto di vista psicologico, il messaggio diffuso dalle principali forze politiche del nostro paese è molto preoccupante?
In primo luogo, le “devianze giovanili” così proposte sembrano essere problemi individuali che vanno corretti e non complesse condizioni da esplorare nella loro dimensione sociale e relazionale.
In secondo luogo, si mettono assieme comportamenti che richiedono interventi molto diversi fra loro. Paragonare un fenomeno sociale violento come quello delle baby gang con il malessere estremo di una persona anoressica, il bullismo con l’autolesionismo, non aiuta a comprendere come poter intervenire dal punto di vista clinico e psicologico. Tutto è ricondotto ad un minimo comune denominatore: sono atti di deviazione dalla norma, non si prendono in considerazione le emozioni, i bisogni che li guidano o il vissuto di chi ne soffre.
Infine, la comunicazione politica pecca gravemente di riduzionismo nel trovare soluzioni a situazioni che dovrebbero coinvolgere tutti e rivela la scarsa, per non dire nulla, conoscenza dei disturbi di cui si parla.
Quando parliamo di anoressia, parliamo di un problema che fa paura. Spaventa non solo i genitori, ma anche i medici e gli psicoterapeuti, perché nefasto. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresenta la seconda causa di morte in età giovanile, dopo gli incidenti stradali. Oggi l’esordio della malattia, rispetto a qualche anno fa, è diventato sempre più precoce, cioè intorno a 11-12 anni.
Ancor più grave da parte dei nostri politici è pensare che l’esercizio fisico sia una soluzione, quando in realtà è utilizzato dalla persona anoressica in modo compulsivo come strategia di compensazione all’assunzione di calorie.
E ancora…come può vivere lo sport un ragazzo hikikomori. Un’esperienza sociale di condivisione del corpo come lo sport, come verrebbe vissuta da persone che percepiscono la sottrazione al contesto sociale della propria corporeità il principale strumento di difesa dalla propria angoscia? Si tratta di persone il cui primo problema non è fare attività fisica, ma uscire di casa e, nei casi più estremi, dalla propria camera da letto.
Ridurre tutti questi problemi a “devianza” non fa ben sperare per il futuro. La comunicazione politica sembra ancora molto lontana da una presa di coscienza e di conoscenza, prima ancora che da un’assunzione di responsabilità rispetto al malessere psicologico.
C’è un vecchio adagio che dice: «Ognuno faccia il proprio mestiere», un buon governo richiede autorevolezza e competenza, una classe dirigente che sappia coniugare la competenza specifica con la capacità politica.
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a cura di Michele Lucivero
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