Qualche giorno fa, dopo i primi passi dell’inchiesta sul caso diamanti di cui riferisce La Tribuna di Treviso con l’articolo a firma di Andrea Passerini che pubblichiamo a seguire, abbiamo intervistato nel suo studio di Treviso l’avv. Sergio Calvetti, che ha dato utili indicazioni alle vittime su come muoversi a propria tutela mettendo, soprattutto, da parte “ogni ritrosia a denunciare la truffa” in cui sono incapapti anche tanti personaggi noti come Vasco Rossi, Federica Panicucci e l’imprenditrice Diana Bracco.
Qui presentiamo il video, a seguire l’articolo con l’aggiornamento sui dodici veneti coinvolti nella truffa dei diamanti: sono direttori di filiale di banca, amministratori di società e agenti. L’accusa: aver venduto i preziosi a prezzi gonfiati.
Dodici veneti nell’inchiesta sulla truffa dei diamanti
Esplode anche a Nordest lo scandalo dei diamanti bidone, che ha visto la Procura di Milano disporre un sequestro preventivo di 700 milioni nei confronti di 5 banche (Bpm, Intesa San Paolo, Unicredit, Mps, Banca Aletti), e di due società attive nel commercio dei diamanti, la Idb (Intermarket Diamond Business) di Milano, fallita a metà gennaio e la Dpi (Diamond Private investment) di Roma, ritenute responsabili di aver truffato migliaia di risparmiatori, tra cui i vip Vasco Rossi, Simona Tagli e Federica Panicucci, proponendo loro investimenti in diamanti a prezzi non congrui.
I nordestini e le accuse. Nel mirino dei giudici, che procedono per truffa aggravata e continuata, ben 12 veneti e 3 friulani. Sono tra i 68 nomi che figurano nelle carte dell’inchiesta milanese: amministratori di società, dirigenti e funzionari di banca, direttori di filiale, agenti della società Idb.
Due sono ritenuti – dai titolari dell’inchiesta (il procuratore aggiunto Riccardo Targetti e il pm Grazia Colacicco)- tra gli artefici del sistema. Si tratta di Maurizio Zancanaro, 56 anni, residente a Cesiomaggiore (Belluno), già direttore generale di Banca Aletti e ora ad, che fra il 2008 e il 2017 ha firmato diversi accordi con la Idb (dal 2018 è manager del gruppo Cairge e ad della banca Ponti); l’altro è il friulano Pietro Gaspardo, dal 2011 responsabile pianificazione e marketing Retail di Bpm, che firma due accordi con Idb nel 2016.
Per i giudici, entrambi – con Franco Novelli, del cda di Idb; Maurizio Faroni, già ad di banca Aletti e ora direttore generale di Banco Bpm; Andrea Mecarini, responsabile marketing clienti retail di Banco Bpm fino al 2016; Franco Dentella, responsabile risorse di Aletti) – avrebbero indotto in errore «decine di migliaia di risparmiatori/clienti di Bpm e Unicredit. Il tutto con un «ingiusto profitto ai danni di risparmiatori, derivante dalla stipula di contratti di acquisto di diamanti per un prezzo assai superiore, dal 30 al 50%, del reale valore».
Procurando a Idb un profitto di 150 milioni, in soli 4 anni, di 83 milioni a Bpm e di 32 a Unicredit. Di qui l’accusa di truffa aggravata. I giudici ricostruiscono i contorni del sistema. Le banche, per il “collegamento” fra clienti e società, ricevevano un corrispettivo del 18% sull’ammontare degli ordini . E nel sistema avrebbero agito Denis Cacciatori, padovano di Noventa, funzionario della filiale di calle Larga San Marco ex banco S.Marco, ora Bpm; il suo collega veneziano Fabio De Poli. Ma anche il veneziano Domenico Battistella, vicedirettore della filiale Mps di Azzano S.Paolo (Bg); la veronese Lisa Pegoraro, funzionaria dell’agenzia 4 Bpm di corso Milano a Verona; il veronese Francesco Pernigo, direttore dell’Unicredit di via Mazzini a Vicenza; le veronesi Tania Zani, funzionaria Bpm alla filiale di Oppeano (Verona), e Sabina Deiana, funzionaria Bpm alla filiale degli Scalzi a Verona; la scledense Barbara Stella, direttrice dell’Unicredit di Magrè di Schio; la bassanese Angela Vialetto, che dirigeva la filiale Unicredit di Romano d’Ezzelino. E poi gli agenti della Idb. Due friulani, la pordenonese Patrizia Springolo di Porcia e Francesco Rusin, di Aiello; il vicentino Domenico Maraschin di Schio.
Le accuse. Secondo i giudici, direttori di filiale e funzionari «in collaborazione con gli agenti Idb, fornivano «rappresentazioni fuorvianti, parziali e ingannevoli» sia sull’investimento, sia sulle modalità di determinazione del prezzo, sia sull’andamento del mercato dei diamanti.
Accuse pesanti, quelle dei giudici: le brochure date ai clienti pubblicizzavano “diamanti da investimento”, “bene rifugio”, “liquidabilità certa”, “possibilità di disinvestire in 30 giorni”. Ancora: veniva usato il termine “quotazione” e non “listino prezzi”, per indurre i clienti a credere si trattasse di valutazioni oggettive di mercato. E si «falsificavano» o comunque di «usavano nelle trattative false quotazioni», in realtà listini decisi dalle società (Idb).
Così le somme chieste ai clienti andavano non a coprire il valore reale dei diamanti, ma comprendevano commissioni, oneri, assicurazioni. Illusoria la possibilità di disinvestimento, perché il cliente per recedere doveva pagare ulteriori commissioni. Alla fine, i clienti pagavano oltre il doppio del reale valore, stando ai listini ufficiali Rapaport. Quadro affine sul versante delle Dpi, guidata da Maurizio Sacchi con la figlia Eleonora Maria. Per la Dpi 165 milioni di ingiusto profitto, per Mps 35 milioni, per Intesa S.Paolo oltre 11.