È da poco terminato l’anno scolastico più complicato della storia repubblicana. Un anno scolastico che si è svolto per quasi la metà nel silenzio assordante delle aule vuote, degli allievi chiusi nelle proprie case. La DaD-Didattica a Distanza ha permesso di salvaguardare una parvenza di scuola, ma ha anche fatto comprendere come l’utilizzo di una piattaforma online per la trasmissione dei saperi non possa essere un ambiente esclusivo di apprendimento.
La gestione del gruppo classe non è stata facile: microfoni e videocamere non funzionanti, connessione troppo lenta o inesistente, impossibilità di inviare/scaricare i compiti. Poi c’è stata la conta degli alunni “irraggiungibili” che ha costretto i docenti ad improvvisarsi provetti Sherlock Holmes.
Anche “entrare nelle case” è stata un’esperienza singolare. Ha dato la possibilità di approfondire il famoso “contesto sociale”, spesso menzionato nei documenti ufficiali e che ha evidenziato divari e situazioni di disagio non indifferenti.
Le indicazioni del ministero dell’istruzione, spesso tardive, hanno creato problemi piuttosto che risolverli. Ad oggi non si conoscono le decisioni che verranno prese in via definitiva in merito ai vincoli che le scuole dovranno rispettare al rientro a settembre.
La scorsa settimana è stato allestito l’ennesimo tavolo a Palazzo Chigi. Ma le proposte dal governo sono apparse inadeguate: misurazione della temperatura degli alunni a casa (da soli o con la supervisione delle mamme tuttofare?); organizzazione dei trasporti in modo da evitare assembramenti (chi paga il raddoppiamento delle linee dei bus?); ingressi scaglionati (già con una ventina di classi si dovrebbero occupare docenti e collaboratori scolastici almeno tre ore al giorno solo per far entrare a scuola gli alunni); edilizia leggera per recuperare nuovi spazi (con i tempi italiani riusciremo in un paio di mesi a trovare qualcosa di meglio di qualche camper o tendone da sagra?); distanziamento di almeno un metro; mascherine e visiere, banchi con divisori in plexiglass (si riuscirà a procurarseli in tempo?); pasti in aula perché la mensa non può contenere tutti; igiene ambientale accuratissima e, dulcis in fundo, l’ora che a scuola non dovrebbe durare 60 ma 45 minuti!
Nemmeno il Documento del Comitato tecnico scientifico è riuscito a dissipare le tenebre che sono calate sulla povera scuola italiana.
Eppure prima dell’inizio del nuovo anno scolastico dev’essere formulato un protocollo di sicurezza che delinei con precisione le realistiche misure da adottare, in modo da limitare il margine valutativo delle singole realtà scolastiche e garantire al massimo l’incolumità di tutti.
La scuola non è un bar, dove gli studenti entrano per consumare qualcosa per cui basta distanziarli un po’, ma un luogo di “produzione”. Si producono conoscenze e competenze. Pertanto ogni scuola dovrà riprogettare la propria offerta formativa mettendo in gioco le competenze e la creatività progettuale di tutti i docenti. La tenuta e il clima delle scuole nell’affrontare il difficile percorso del prossimo anno non dipenderà dal numero delle ordinanze, dei decreti o dall’organizzazione logistica, bensì dal livello di coesione della comunità scolastica e dalla disponibilità delle sue componenti a collaborare responsabilmente.
Tutti dovranno dare il loro contributo per affrontare, uniti, i problemi pratici che via via si presenteranno e che richiederanno decisioni soprattutto consapevoli e lungimiranti perché, come scrisse Seneca: “Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare”.
*dirigente scolastico – Istituto Comprensivo Statale “G. Parise” di Arzignano e Montorso Vic.no (VI)