Solo qualche mese fa, nel corso dell’ultima campagna elettorale, oggetto di ampia discussione è stato il diritto all’aborto. Questione strumentalizzata a fini divisivi e di accaparramento di consenso, poi accantonata e comunque mai affrontata nel verso giusto.
Dalla relazione ministeriale sull’attuazione della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza sui dati del 2020, emerge una riduzione del 9,3% del ricorso all’aborto in tutte le aree geografiche. Diminuisce in tutte le fasce di età, in particolare tra le giovanissime. Risulta prevalente il ricorso al consultorio familiare per il rilascio della certificazione necessaria alla richiesta di Ivg (43,1%), rispetto agli altri servizi (medico di fiducia 19,9%, servizio ostetrico-ginecologico 33,4%).
Ma l’indagine non considera tutti gli aspetti della questione. Territori completamente abbandonati e consultori senza personale sufficiente, lunghe liste di attesa rendono l’esercizio del diritto all’aborto un vero percorso a ostacoli, con variabili molto accentuate da Regione a Regione.
Il punto è che in tutto il mondo si va verso una progressiva privatizzazione dell’aborto, con diffusione sempre maggiore del metodo farmacologico. È un fatto che venga sempre meno praticato nelle cliniche, e sempre più in autonomia presso il proprio domicilio, con aumento dei rischi di mancato successo e per la salute.
Questo anche per la presenza notevole di obiettori di coscienza, che ha favorito la diffusione di procedure fai-da-te, con con-segna domiciliare dei prodotti abortivi.
Non manca chi lamenti, perciò, legittimamente, un sostanziale affievolimento del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza e mostri preoccupazione per il rischio che l’aborto venga relato a una condizione di clandestinità legale.
Il tema va affrontato con approccio laico, non ideologico e socialmente equo.
Il rispetto della donna e la difesa la vita impongono coraggio e ragionevolezza, per equilibri stabili, contro il rischio di pericolose fratture sociali, e pur senza pregiudizio per il legittimo esercizio dell’obiezione di co-scienza, che è espressione della libertà personale di pensiero.
In questa direzione, Meritocrazia Italia reputa essenziale una revisione della l. n. 194 del 1978, nel verso di far fronte alle mutate esigenze e al moderno quadro sociale e culturale e assicurare maggiori tutele a favore delle donne.
È fondamentale altresì:
– realizzare e rendere pubblica una mappatura delle strutture sanitarie nelle quali vi è libero accesso all’interruzione della gra-vidanza;
– garantire che almeno una struttura per provincia sia attrezzata per l’esecuzione di aborti terapeutici e volontari;
– eseguire maggiori controlli sui territori per combattere il fenomeno dei centri che praticano interruzioni di gravidanza in forma clandestina, attraverso una proficua collaborazione con i posti di polizia dei pronto soccorso ospedalieri e operando uno studio accorto dei dati relativi agli aborti clandestini per avere contezza della dimensione del fenomeno e programmare adeguata reazione;
– recepire le linee guida ministeriali relative all’aborto farmacologico (entro la nona settimana in regime ambulatoriale senza ricovero) da parte di tutte le regioni italiane;
– uniformare su tutto il territorio nazionale i protocolli clinici;
– puntare su un più adeguato apparato informativo, anche sui sistemi di contraccezione e sull’importanza della prevenzione, fin dall’educazione scolastica.
In ogni caso, servono percorsi volti a favorire l’autonomia decisionale delle donne, creando politiche sociali di reale sostegno e rafforzando un welfare che renda possibili scelte realmente libere e consapevoli.