Giorgio Langella, responsabile nazionale Lavoro per il PCI , candidato nella lista Solidarietà Ambiente Lavoro per la regione Veneto, e Dennis Vincent Klapwijk, responsabile nazionale Lavoro per la FGCI, affidano a ViPiù, che le sottopone all’attenzione dei lettori, delle considerazioni a margine di un documento di Confindustria Veneto che non possono cadere nel silenzio anche di chi i lavoratori vuole o dice di rappresentarli.
Ecco il documento su cui sarebbero graditi anche degli interventi da sottoporre a cittadini@vipiu.it.
Il 15 settembre 2020, Confindustria Veneto ha diffuso un breve documento di 4 pagine con la sintesi delle sue “proposte e richieste prioritarie” dal titolo “Il futuro dopo l’emergenza – elezioni regionali 2020 – Appunti per un piano di sviluppo regionale per l’economia” .
È una lettura interessante, che evidenzia le differenze sostanziali, strutturali e sistemiche tra le nostre prospettive di comunisti e le volontà padronali. Due visioni del mondo profondamente diverse e incompatibili.
Quello che si vuole evidenziare, nelle brevi riflessioni che seguono, è ciò che rende diversi noi comunisti da quel pensiero unico che si può ben definire “realismo capitalista” e che riempie ogni frase del documento confindustriale.
Nelle proposte/richieste di confindustria si legge una sola volta la parola lavoratori, mai quella lavoratrici. Inoltre a chi lavora ci si riferisce con l’orrendo neologismo di “capitale umano”.
Il riferimento ai lavoratori è solamente nel primo punto sotto il titolo welfare e sanità “Rafforzare l’impegno della Regione nella diffusione della previdenza complementare tra i lavoratori per renderli maggiormente consapevoli sulla necessità di un secondo pilastro previdenziale” dove si propone un maggiore ruolo del privato e la necessità di “insegnare” ai lavoratori la necessità della previdenza complementare. Cioè quella privata.
Ovvero: come si possono ricavare soldi dai lavoratori onde rafforzare i profitti privati, per i quali la regione deve impegnarsi.
Del resto tutto il documento ricalca sempre lo stesso concetto, cioè il mercato ed il privato sono i motori di ogni cosa, lo Stato e la collettività devono finanziare MA si devono adeguare ad un ruolo subalterno.
Nelle quattro pagine degli “appunti” confindustriali, non c’è alcun cenno riguardo la sicurezza nel lavoro, la disoccupazione, la precarietà. Tutte le proposte ed ogni richiesta hanno l’obiettivo di far guadagnare di più, di ottenere maggiori finanziamenti pubblici, di impegnare le Istituzioni a garantire profitti alle imprese.
Il lavoro non è al centro dello sviluppo. Solo l’impresa privata è importante, il motore di tutto. Essa deve avere il potere di licenziare, chiudere fabbriche, delocalizzare, ottenere benefici, disinteressarsi del ruolo sociale che la Costituzione le assegna.
Questo è un modello di sviluppo che ha già creato danni e crisi puntualmente ripianati e affrontati esclusivamente con i sacrifici di chi lavora. Non persone ma “capitale umano” che può solo stare alla finestra e attendere di essere formato (ma esclusivamente nelle cose che interessano l’impresa), assunto (ma da precario, senza tanti lacci e laccioli), ridotto a strumento o meccanismo di una macchina condotta e gestita certamente non da lui (il quale, in definitiva, eroga gli investimenti richiesti da Confindustria con il suo lavoro e le tasse che paga).
Chi lavora è ridotto ad un qualcosa che è meglio non abbia coscienza né troppi desideri diversi dal “consumo” di beni spesso inutili.
Chi lavora deve impegnarsi per il bene dell’impresa. Essa “crea” quella ricchezza della quale le lavoratrici ed i lavoratori, che tramite la loro fatica sono i veri creatori, vedranno solo le briciole che la “generosità” padronale lascerà cadere a terra.
Anche i risultati della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dell’innovazione, secondo Confindustria Veneto, devono essere a beneficio esclusivo delle imprese. Ai lavoratori andranno, forse, gli “sfridi”, quello che viene scartato…
Noi crediamo, invece, che la ricchezza prodotta dalla cosiddetta “quarta rivoluzione industriale” debba essere prioritariamente di chi lavora. Che si possa lavorare in piena sicurezza, meglio, meno, con minor fatica e maggiori retribuzioni.
Una prospettiva, come si può capire, non solo diversa ma opposta a quella confindustriale.
Il documento di Confindustria Veneto, del resto, è in linea con quanto contenuto nella lettera del presidente di Confindustria nazionale Bonomi ai presidenti delle associazioni confederate. Qui si lancia l’idea di “contratto rivoluzionario” che regoli i rapporti di lavoro.
Il termine “rivoluzionario”, per lorpadroni, significa che le retribuzioni non siano più legate al tempo di lavoro. Ed è quanto di più reazionario possa esistere.
È il ritorno al cottimo, al considerare lavoratrici e lavoratori non esseri umani ma parti di una macchina che serve a fare soldi. È, nei fatti, la trasformazione delle persone che lavorano in “capitale umano”. Una restaurazione, un ritorno ai tempi bui dove i lavoratori erano considerati come, o meno di, bestie da soma.
Quello che vuole confindustria è un patto sociale nel quale le lavoratrici e i lavoratori contino poco o niente. Il centro di tutto devono essere le imprese o, meglio, gli imprenditori che si dipingono come veri “conduttori” del paese, lasciando ad una memoria labile e confusa le loro enormi responsabilità della crisi e della crescente insicurezza (in tutti i sensi) del e nel lavoro.
Da decenni i padroni hanno ricevuto, da governi compiacenti, finanziamenti a fondo perduto e la cancellazione di diritti fondamentali per i lavoratori. Hanno delocalizzato stabilimenti e sedi fiscali per pagare meno tasse e guadagnare di più. Hanno cementificato il paese, speculato, sfruttato ambiente e persone. Ma tutto questo non basta. Pretendono altro. E questo “altro” significa nuove privatizzazioni, nuovi finanziamenti, nuovi tagli dei servizi sociali, meno tasse e la certezza che non ci sarà mai una patrimoniale, una tassa, cioè, sulle grandi ricchezze.
Per loro è normale che, mentre chi lavora è sempre più precario, riceve retribuzioni sempre più esigue, non riesce ad andare in pensione, diventa facilmente disoccupato, i dieci più ricchi del nostro “belpaese” posseggano ricchezze personali che superano i 100 miliardi di
dollari.
Per noi non lo è. Noi crediamo che si debba cambiare sistema, che lo Stato si riappropri del suo ruolo di pianificatore, gestore e controllore dei settori strategici industriali o meno del nostro paese. In pratica, crediamo che sia necessario attuare la nostra Costituzione, che le imprese private possano esistere, certo, ma che debbano avere quella funzione sociale prevista proprio per garantire diritti fondamentali (lavoro, salute, istruzione, sicurezza,
retribuzioni adeguate, casa …) a tutti i lavoratori.
Queste sono le nostre risposte agli “appunti” di Confindustria Veneto. Voi avete già avuto abbastanza ed è ora che le lavoratrici e i lavoratori ricevano quello che hanno dato. Devono essere loro i protagonisti di un nuovo modello di sviluppo.
Post Scriptum
Per opportuna conoscenza, nel sito dell’Osservatorio Indipendente di Bologna
morti sul lavoro si può leggere:
“17 settembre. Già 28 i morti per infortunio sui luoghi di lavoro questo mese. Dall’ inizio dell’anno sono morti 783 lavoratori, di questi 400 sui luoghi di lavoro (tutti i morti sul lavoro sono registrati da 13 anni in apposite tabelle excel con identità, luogo e data della tragedia, professione, età e nazionalità).”
Ecco, di questo si parla e si scrive poco … del resto i morti sul lavoro non “fanno notizia”.
Giorgio Langella, Responsabile Lavoro per il PCI , candidato nella lista Solidarietà Ambiente Lavoro
Dennis Vincent Klapwijk, Responsabile Lavoro per la FGCI