Domenico Pittarini, l’Omero del Veneto membro del “Comitato Liberale Vicentino”

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targa Pittarini
targa Pittarini

“Ghe cago ai talgiani”, “ste sènache porche” (sènache, persone magre e patite), “i ne monde, i ne tosa, i n’inciòa, gnancora saemo un fiol de na scroa” (ci mungono, ci tosano, ci inchiodano come un figlio di una scrofa), “marsoni” (massoni), “dente salvadega che magna i cris-ciani, pì pedo dei Truchi e dei Luterani” (gente selvaggia che mangia i cristiani, peggio dei turchi e dei luterani): non sono le imprecazioni di un pericoloso indipendentista veneto del terzo millennio, ma le potete trovare citate nel ponderoso volume “Il Veneto” di una prestigiosa casa editrice “Giulio Einaudi Editore” stampato nel 1984 nella collana “Le regioni dall’unità a oggi”.

A pagina 8 l’autorevolissimo prof. Silvio Lanaro parla di “secca avversione per –Talgia- e –talgiani- che dilaga dopo l’annessione del 1866”: e prende ad esempio le colorite espressioni di Andola nella commedia “La politica dei villani” di Domenico Pittarini; una commedia che ebbe una grandissima diffusione nelle campagne venete a cavallo fra l’ottocento e il novecento.

Ma chi è l’autore che ha tale coraggio e tale passione civile da denunciare le pessime condizioni dei nostri veneti che passano da un padrone all’altro (dall’Austria all’Italia) e si ritrovano sempre più disperati? La Sua è proprio una storia emblematica…

E’ Domenico (Menego) Pittarini e il suo nome, come al solito, dice poco o nulla alla stragrande maggioranza dei veneti  che invece sanno tutto sul Campidoglio… Domenico Pittarini nasce ad Ancignano di Sandrigo il 28 agosto 1829, compie gli studi ginnasiali a Bassano, si laurea in farmacia a Padova nel 1849 e a Vicenza fa le prime esperienze di farmacista.

Membro del “Comitato Liberale Vicentino”, associazione segreta, è arrestato nel 1859 dalle autorità austriache: non ci troviamo quindi di fronte a un’austriacante ma a un patriota veneto che ben presto si accorge come il Veneto sia diventato una colonia del neonato Regno d’Italia.

Rimesso in libertà trova lavoro prima nella farmacia di S. Piero in Gù (Pd), poi a Fara Vicentino ove rimane dal 1878 al 1888; travolto dai debiti dovuti fondamentalmente alla sua generosità e all’incapacità di riscuotere i crediti, parte per l’Argentina dove vive stentamente per tredici anni e dove muore il 28 novembre 1901  a El Trebol (Cordoba).

In una lettera inviata pochi giorni prima della dipartita al nipote scrive:

Morirò lontano dalla patria, senza poter rivedere i parenti e gli amici che ancora mi restano, conviene che mi rassegni. Quello che soprattutto mi rode l’anima, si è di non aver potuto, in tredici anni d’America, soddisfare i miei creditori, unico scopo per cui ebbi l’ardire di attraversare l’Atlantico a sessant’anni”.

La sua opera più conosciuta è sicuramente “La politica dei villani”, commedia in due atti scritta a S. Piero in Gù negli anni 1868-69 e ristampata già nel 1884; la fama del Pittarini è notevole e viene chiamato “L’Omero dei poveri”.

“-La politica dei villani- venne letta da due generazioni di contadini, durante le veglie nelle stalle, alla scarsa luce della lampada a petrolio. Mandata a memoria da molti, ci sono ancor oggi dei vecchi contadini che ne ricordano larghi brani. Alcuni versi, pronunciati a modo di proverbio, sono diventati i cavalli di battaglia della saggezza campagnola”; così il prestigioso Ferdinando Bandini nelle note introduttive alla ristampa del 1960, Neri Pozza Editore.

Altra commedia di successo del Nostro fu “Le elezioni comunali in villa” stampate a Schio nel 1912 presso la tipografia dei fratelli Miola, nella quale l’autore sembra proprio descrivere i fatti tragicomici che caratterizzarono il plebiscito-truffa di annessione del Veneto all’Italia il 21-22 ottobre 1866 e le successive elezioni. Ecco un dialogo estremamente significativo:

I° contadino: Ciò, chi ghetu metesto ti sulle schene ?

II° contadino: Mi gnente, me le ga consegnà el cursore scrite e tuto.

I° contadino: E anca mi istesso, manco fadiga.

II° contadino: Manco secade.

Anche questa commedia ha un percorso…accidentato; solo nel 1981 vengono ristampate diverse copie ciclostilate per iniziativa della “Fraja Vixentina Menego Pitarini” dell’Union Veneta; nel 1989 ristampo l’opera come “Union del Popolo Veneto” e la stessa viene ripresa dalla Cooperativa Teatrale Ensemble di Vicenza dell’amico Roberto Giglio grazie al quale l’opera ritorna in scena ed è stata rappresentata anche recentemente: emblematico come alle volte basta qualche fotocopia per rimettere in gioco una commedia della quale si erano smarrite le traccie…

Nel 1980 Neri Pozza Editore ristampa “Laude a Molvena e altre poesie in lingua rustica”; degne altresì di nota le collaborazioni del Pittarini ai giornali dell’epoca “Il Summano”, “L’iride” e “El visentin” dove a volte si firma “Niccodemo”

Dai suoi lavori emerge un profondo conoscitore della realtà che lo circonda, degli umori e delle convinzioni del popolo veneto, ma soprattutto il Pittarini, con i gustosi dialoghi dei suoi contadini, anticipa le conclusioni che gli storici più obiettivi saranno costretti a trarre dopo oltre un secolo: il risorgimento fu nel Veneto un fatto elitario, che coinvolse quattro massoni e quattro liberali e che vide la stragrande maggioranza del nostro popolo del tutto estranea, se non ostile, agli eventi che segnarono in maniera decisiva la storia della nostra regione;  significativo in questo contesto  che il Pittarini inserisca nella sua opera le ribellioni di Thiene e di San Germano (Ciene e San Dreman nella lingua dell’epoca) nei quali fu necessario l’intervento delle forze dell’ordine per reprimere la protesta popolare: due dei numerosi episodi anti Savoja che caratterizzarono i primi anni della cosiddetta unificazione e dei quali la storiografia ufficiale si è sempre ben guardata di parlarne …

Altro dato fondamentale di tutta l’opera del Pittarini è la lingua parlata dai protagonisti: “un dialetto rustico” lo definisce lo stesso autore che non ha ancora subito gli effetti devastanti e massificanti della lingua italiana.

Lo stesso Bandini sottolinea come “la lingua patria rimane uno strumento ignoto al contado”; la lingua veneta del Pittarini è una lingua viva, di una espressività unica, a volte tragica, a volte comica, sempre permeata di buonsenso, di acuta osservazione, di dignità.

Interessante poi osservare come nella “Politica dei villani” venga inserito un vocabolarietto con tre tipi di parlata: l’italiano, il vernacolo (parlato dalle persone più in vista come il sindaco, il segretario ecc.) e il rustico (parlato dalla maggioranza della popolazione).

Del tutto particolare l’attenzione dello scrittore nel riportare con estrema attenzione le parole nuove che vengono sistematicamente “storpiate” dai nostri contadini (quasi un rifiuto della lingua italiana). E così carabinieri diventa “carbonieri”, scrutinio “grustinio”, mappamondo “nacamondo” ecc.

Un’ultima sottolineatura, giusto per evitarmi qualche rimbrotto da parte dei cultori del “Menego”; l’espressione completa usata dalla battagliera “Andola”  è: “Ghe cago ai talgiani, li mando a Teolo”;

Teolo, oggi suggestivo borgo degli Euganei, nell’ottocento, per gli abitanti della pianura vicentina, era proprio un posto fuori del mondo