Il dominio dei Longobardi su Vicenza finisce nel 773, duecentocinque anni dopo la conquista avvenuta ad opera delle avanguardie guidate da re Alboino nell’autunno del 568. Sono due secoli di storia della città fondamentali perché ne impediscono la decadenza (che subisce, invece, la vicina Padova) grazie alla creazione di un ducato che governa Vicenza e un territorio circostante che è più ampio di quello di epoca romana e che, infatti, ingloba anche aree che appartenevano alla giurisdizione veronese e padovana. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
Vicenza è, per due secoli, un centro importante dell’Austria, com’è denominata la regione orientale del Regno Longobardo, nonché presidio militare strategico. Gli occupanti restano per gran parte della durata della loro presenza in città in regime di netta separazione dalla popolazione romano-cattolica (come imposto con numerosi decreti reali) e si crea una parziale fusione solamente dopo la conversione dei Longobardi al cattolicesimo.
Cattolicesimo e arianesimo, le religioni di vicentini e Longobardi
Quando invadono l’Italia i Longobardi sono ufficialmente ariani ma il loro arianesimo è una versione abbastanza lontana da quella dello scisma originale del IV secolo. È contaminato da aspetti pagani e la conversione, rinnovata da Alboino prima della partenza della popolazione verso la Venetia bizantina, ha una utilità politica, perché sintonizza i Longobardi con le altre popolazioni germaniche circostanti.
I vicentini sono, invece, cattolici e la città ha due fulcri religiosi, il santuario dei santi Felice e Fortunato fuori delle mura e, all’interno di queste, la sede episcopale nella chiesa paleocristiana che sorge nel sito in cui poi è edificato il Duomo. La fedeltà dei vicentini alla Chiesa di Roma si consolida in epoca tardo-romana ed è testimoniata dai numerosi resti archeologici non solo della edilizia religiosa ma anche delle necropoli.
All’arrivo dei barbari di re Alboino, però, la chiesa vicentina è scismatica. Aderisce, infatti, allo “scisma dei tre capitoli” che fa capo al patriarca di Aquileia, anche se sembra più sentito dalla gerarchia ecclesiastica locale che dalla popolazione. Il dominio dei Longobardi favorisce per motivi politici gli scismatici, finchè, nel 590, il concilio di Marano Lagunare (a cui partecipa anche il vescovo vicentino Horontius) riconosce l’errore e rientra nella chiesa romana.
In città coesistono, quindi, due religioni ben separate, quella cattolica dei vicentini e quella ariana dei Longobardi, che hanno proprie chiese e culti. Questo assetto si riflette anche nella vita politica locale perché il duca riconosce al vescovo il ruolo di capo spirituale della comunità autoctona. Le sedi dei due poteri sono addirittura confinanti, la curtis major ducale occupa, infatti, una vasta area a ovest dell’episcopio. In alcune città (ma non risulta sia così a Vicenza) ci sono due vescovi, quello cattolico e quello ariano.
La conversione dei Longobardi al cattolicesimo e l’arrivo in città dei Benedettini
Nel 698 i Longobardi si convertono al cattolicesimo e si rimuove, in conseguenza, uno dei principali ostacoli all’avvicinamento delle due popolazioni. Per Vicenza è il presupposto di una svolta che avrà ricadute importantissime sulla vita culturale cittadina per molti secoli.
Nell’VIII secolo, infatti, arriva in città l’Ordine Benedettino che crea due monasteri, quello maschile a s. Felice e quello femminile a s. Pietro. Questi nuovi centri religiosi possiedono patrimoni terrieri vastissimi: quello di s. Felice va da Ponte Alto a Monte Crocetta.
Gli ordini monastici diventano fulcro e motore di un rinnovamento culturale di rottura con la tradizione tardo-romana e di creazione di una nuova tradizione. A Vicenza nel monastero di s. Felice si avvia una vita religiosa, culturale e sociale che si prolungherà per oltre un millennio. Scrive il Previtali: “è nel monastero benedettino di s. Felice che vanno individuate le origini di attività culturale, di bonifica di terreni paludosi e boschivi, di fondazione di piccoli centri agricoli sparsi per tutto il territorio vicentino” (Attilio Previtali, Longobardi a Vicenza).
Ed è proprio nella chiesa paleocristiana sulla via Postumia che si trovano le tracce di una nuova coesistenza fra vicentini e Longobardi, perché nomi latini e barbari sono insieme nelle stesse epigrafi. La quota neocattolica fra i Longobardi della città è sicuramente minoritaria ma consente, da un lato, opere di abbellimento sia del santuario che della chiesa episcopale e, dall’altro, la costruzione di edifici religiosi con dedica tipica di quelli degli occupanti (Salvatore, s. Giorgio).
Il Teatro Berga è il ponte fra le due culture
Accanto a queste importanti e vistose novità nella cultura e nell’urbanistica della città c’è, in controtendenza, un episodio di riutilizzo longobardo di uno dei più importanti edifici pubblici dell’epoca romana: il Teatro Berga. La sua costruzione risale alla fine del I secolo avanti Cristo, sotto l’imperatore Ottaviano Augusto, primo della dinastia Giulio-Claudia. L’edificio è interamente in pietra, il calcare estratto dalle cave di Costozza, ricoperto di marmi provenienti dall’Italia, dal Nord Africa, dalla Grecia e dal Vicino Oriente. Ha una capienza di ben cinquemila spettatori, davvero stupefacente se si pensa che è superiore alla metà della popolazione cittadina. Nella prima metà del I secolo dopo Cristo è abbellito con alcune statue, fra cui quelle che rappresentano l’imperatore, la sorella Antonia e Agrippina Minore, moglie di Nerone e Claudio.
Il Berga sopravvive alla fine dell’Impero e si hanno notizie di spettacoli in esso organizzati da re barbarici (come l’ostrogoto Teodorico) e anche durante il dominio dei Longobardi. Proprio loro lo mantengono in efficienza e lo utilizzano non solo per l’attività teatrale tipica ma anche per adunanze militari. Dopo otto secoli, il grande teatro di Vicetia è, dunque, il ponte fra la cultura barbarica e quella romana.