Donazzan e la commemorazione di Mussolini. “Agorà. La Filosofia in Piazza”: la storia si ripete tristemente come tragedia e come farsa

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Sdegno avanti alle commemorazioni fasciste
Sdegno avanti alle commemorazioni fasciste

Non è nuovo il Giornale di Vicenza ad avallare certi fenomeni culturali e a mascherare dietro la libertà di informazione qualsiasi spazzatura che possa attirare l’attenzione del pubblico.

Che ci fossero tutti gli estremi per non pubblicare questo “elogio funebre” è fin troppo evidente a tutti, ma probabilmente la direzione del giornale ha assunto un impegno concreto dal punto di vista culturale con gli appartenenti alla fantomatica Continuità Ideale R.S.I., che ricorderanno il loro duce nientedimeno che con la recita del Santissimo Rosario alle ore 19.00 di domani 28 aprile 2021 nello spazio antistante la chiesa del cimitero Maggiore di Vicenza, dove magari si auspica che ci sia anche la presenza di un bel gruppo di antifascisti al canto di “Bella Ciao”.

E così, mentre solo qualche giorno fa, giusto il 25 aprile, il giorno della Liberazione dal nazifascismo, l’Assessora veneta all’Istruzione, alla Formazione, al Lavoro e alle Pari opportunità, Elena Donazzan, rendeva onore, commemorandoli, a 14 soldati tedeschi nazisti uccisi alla fine del conflitto, oggi tocca assistere a questa ennesima vergogna in un territorio, come quello di Bassano del Grappa e Vicenza, che, occorre ricordarlo, è insignito della medaglia d’oro per la Resistenza.

Nel condannare questo scempio culturale, questo becero revival fascista, molto più divisivo di quanto possa essere il DDL Zan sulla condanna dell’omotransfobia, noi non crediamo nemmeno che possa essere chiamata in causa la giustizia ordinaria, cioè che possa essere fatto valere il reato di “apologia del fascismo”, troppo spesso annacquato da interpretazioni faziose, che hanno contribuito a far in modo che anche il fascismo potesse tornare ad essere un’opinione.

Del resto, è solo del 1991 la vicenda della costituzione del Movimento Fascismo e Libertà da parte di un senatore della Repubblica italiana, Giorgio Pisanò, un movimento che ha retto la prova del reato di apologia del fascismo, ottenendo l’archiviazione e l’assoluzione in diversi processi, solo perché la giustizia ha ritenuto che la disposizione di legge contenuta nell’art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, vieta esclusivamente la ricostituzione di un partito che, ispirandosi al disciolto partito fascista, miri al ritorno di una dittatura fascista, mentre tutto il resto è folklore e libertà di opinione.

Non è questa la linea che intendiamo sostenere, dunque, non ne ricaveremmo nulla attraverso la giustizia, ma possiamo invece, prendere le distanze come cittadini e come cittadine, non rimanere ancora una volta indifferenti davanti a questo sintomo di decadenza dei principi costituzionali della nostra democrazia, della libertà, per i quali hanno lottato i partigiani di tutti gli orientamenti proprio contro quelli fascisti.

Questa sottile operazione di sdoganamento del fascismo, delle sue idee e dei suoi personaggi, è diventato ormai un preoccupante gioco nazionale, al quale la stessa Donazzan partecipa volentieri intonando “faccetta nera” ed esibendo il saluto romano, contribuendo ad avallare anche nei giovani tutto un universo simbolico nostalgico per qualcosa che non hanno conosciuto, che nessuno può più raccontargli e che, magari, non studiano più per quello che realmente è stato, cioè una tragedia umana, il punto più basso raggiunto dall’Occidente nella storia dell’umanità.

Non trascuriamo, tuttavia, il contesto in cui il fascismo è andato affermandosi esattamente un secolo fa, dopo alcuni anni di crisi, di malcontento, di risentimento sociale causato dalla Prima guerra mondiale. Non bisogna considerare, infatti, l’ideologia del fascismo, con tutto ciò che comportò nella prima metà del XX secolo, un fenomeno alieno, frutto dell’iniziativa politica di un manipolo di uomini invasati provenienti dai ranghi militari, quanto, piuttosto, come sostiene Luciano Canfora[1], una naturale evoluzione di quelle democrazie liberali diffusesi in Europa, dopo un processo di chiusura nei confronti della presa del potere da parte delle classi popolari.

Se negli anni ’20 del secolo scorso, davanti alla minaccia incombente della Rivoluzione comunista e della democrazia popolare, il ceto borghese scivolò naturalmente verso regimi fascisti, come accadde in Ungheria, Italia, Spagna, Austria, Portogallo, Germania, riscuotendo il plauso anche del leader inglese Winston Churchill, il quale aveva espresso, nel febbraio 1933, apprezzamenti e sostegno al regime di Mussolini per il contributo dato alla lotta contro il comunismo, ad un secolo di distanza ci ritroviamo nuovamente in molti di quei paesi, tra cui Ungheria, Austria, ai quali si aggiungono Polonia, Turchia ancora a fare i conti con quel bagaglio culturale e valoriale pescato dal torbido del razzismo, del nazionalismo, della discriminazione di genere, di sesso, economica, che si nutre anche di striscianti tendenze antidemocratiche e antiegualitarie.

Insomma, non vorremmo essere profeti di sventure, ma già Marx ammoniva, in riferimento al 18 brumaio di Luigi Napoleone, che «La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa». A noi il compito di non prendere troppo sottogamba la farsa, che da più parti si cerca di sdoganare e minimizzare con la complicità dei mezzi d’informazione, perché in regime di post-verità, aggravato dallo sfinimento della pandemia, non è detto che dalla farsa non si possa agevolmente ripresentare la tragedia.

[1] Cfr. L. Canfora, La democrazia. Storia di un’ideologia, Laterza, Roma-Bari 2012, p. 231.


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a cura di Michele Lucivero

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