Se Papa Francesco, sposando la linea di Conte (“prudenza di fronte alla pandemia”” e condannando il linciaggio quotidiano del “chiacchiericcio”, sembra sia più assennato di un Salvini qualsiasi, e non ci vorrebbe molto, ma anche della CEI (la potente Conferenza Episcopale Italiana), e qui il gioco si fa più duro, Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Microbiologia dell’università di Padova e protagonista non parolaio del successi del Veneto nel contenere gli effetti della pandemia Coronavirus COVID 19, appare più “duro” addirittura di Giuseppe Conte … e smentisce Luca Zaia, che, dopo tanta, giusta prudenza, pur se condita da vari giravolta, sta soccombendo alle pressioni delle forze economiche sostenitrici del “libera tutti”. A qualunque costo, anche quello di un terrificante marcia indietro? Leggiamo l’intervista a Crisanti di Luca Fraioli su La Repubblica
Crisanti “Sbagliato riaprire tutto e subito Ora fate test a tappeto”
«Sembrano decisioni prese più sulla scorta di spinte emotive e di interessi di parte che sui numeri». Andrea Crisanti, l’uomo che ha “salvato” il Veneto dal coronavirus non è convinto della Fase 2 così come è stata annunciata l’altra sera dal premier Conte. «Quando fu deciso il lockdown c’erano 1800 nuovi contagiati al giorno, la stessa cifra registrata ieri. Non è che la situazione sia così migliorata». Crisanti, romano di nascita, avrebbe voluto studiare fisica: «Ero bravo in matematica e mi affascinava la meccanica quantistica». Per far felice la mamma studiò invece medicina. In compenso, il figlio è oggi fisico a Cambridge: «Lui sì che è un genio», dice orgoglioso il microbiologo che da ottobre insegna all’Università di Padova, dopo 35 anni da “cervello in fuga” tra Basilea, Heidelberg e infine l’Imperial College di Londra. Pochi mesi per riabituarsi all’Italia e Crisanti si è ritrovato nel pieno di una pandemia. Quando si scopre il focolaio di Vo’ Euganeo lo scienziato propone al governatore del Veneto Zaia di fare test a tappeto a tutta la popolazione del paese. È la mossa vincente: nella regione l’epidemia viene tenuta sotto controllo.
Professore, veniamo al futuro. Lei non riaprirebbe il 4 maggio?
«Non in queste condizioni. I numeri sono uguali ai giorni del lockdown».
Si potrebbe obiettare che da allora siamo più attrezzati: terapie intensive con più posti letto…
«E io potrei replicare che non è negli ospedali che si vince questa sfida: ogni paziente ricoverato in terapia intensiva è una sconfitta. La battaglia si vince sul territorio».
Come si dovrebbe agire per individuare i focolai nella Fase 2?
«Ci vogliono diagnosi fatte via telefono. Vanno geolocalizzati i possibili casi e con software che già esistono si può capire se in una certa area si sta formando un cluster. Se si ha questo sospetto, si chiude l’area e si fanno tamponi a tutti, come a Vo’.
L’unica cosa che funziona».
Che lei sappia, ci si è attrezzati in questo senso per la Fase 2?
«Non credo proprio. Non mi sembra che si siano fatti investimenti sulla medicina territoriale. Ma devo ammettere che conosco molto bene solo la realtà veneta: qui a tutti i neolaureati in medicina è stata proposta l’assunzione nelle strutture sanitarie territoriali. Altrove non so.
Credo siano stati spesi inutilmente moltissimi soldi per i test sierologici: al massimo ci dicono se una persona è venuta in contatto con il virus. Ma non ci dicono se è guarito o se può contrarre di nuovo la malattia».
E della app Immuni cosa pensa?
«Non serve a niente se non si ha la capacità di fare tamponi a tutti.
Anche perché la app farà esplodere la richiesta di tamponi. Mi spiego.
È ragionevole pensare che i nuovi casi positivi siano molti di più di quelli ufficiali, diciamo 10mila. Se ognuno di loro vede 10 persone al giorno, ci sono 100mila nuovi contatti, tracciati dalla app, che andrebbero verificati con un tampone. Centomila tamponi che vanno a sommarsi ai centomila necessari per personale medico, forze dell’ordine, ecc. Siamo pronti a fare 200mila tamponi al giorno?».
Si parla anche di termoscanner.
«Altra cosa assurda: se uno ha 38 di febbre deve stare a casa e basta.
Dobbiamo invece cercare gli asintomatici: a Vo’ abbiamo dimostrato che sono tanti e contagiosi. Ma per trovarli servono test a tappeto».
A parte Zaia, non ci sono altri politici che le abbiano dato ascolto.
«In Italia sono molto gradite le persone controllabili, e io non lo sono: dico quello che penso, ma soprattutto quello di cui sono sicuro perché me lo confermano i numeri».
Che estate ci aspetta?
«Mi sto convincendo che il caldo possa attenuare la virulenza dell’infezione, anche perché fa evaporare le goccioline di aerosol su cui viaggia il Covid-19».
E dopo?
«Con l’autunno rischiamo di ritrovarci al punto di partenza. E se possiamo accettare di essere stati colti di sorpresa a febbraio, possiamo tollerare che in questi due mesi non sia stato fatto molto per preparare dal punto di vista sanitario la Fase 2, farsi trovare impreparati anche il prossimo ottobre sarebbe gravissimo».