“Basta girarsi dall’altra parte mentre il settore della ristorazione continua ad annaspare” così Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, commenta le prime anticipazioni del nuovo DPCM che sembrano stabilire il perdurare dell’obbligo di chiusura a cena anche per i ristoranti in zona gialla. “Siamo lieti che cinema e teatri tornino ad aprire le porte al pubblico – proseguono dalla fondazione – ma non possiamo non evidenziare la discriminazione illogica con un comparto, quello della ristorazione, che invece si lascia affondare e portare con sé anche l’agroalimentare”.
E Lino Stoppani, presidente di Fipe Confcommercio – Federazione Italiana dei pubblici Esercizi, aggiunge: “Sarebbe un provvedimento incoerente e punitivo verso la ristorazione che sta pagando un prezzo altissimo alla pandemia, con oltre 200 giorni fra chiusure e restrizioni, per non parlare di alcune categorie come il catering o l’intrattenimento chiusi di fatto da un anno. Senza lavoro si chiude, ma non per qualche settimana, si chiude per sempre”.
Da una stima Filiera Italia fra ristorazione e industria a rischio 400.000 posti di lavoro, mentre le perdite economiche hanno ormai superato i 40 miliardi di euro. “Ci auguriamo che quanto anticipato non si concretizzi e che sui ristoranti si cambi indirizzo – prosegue Scordamaglia – l’auspicio è che la politica traduca in fatti le raccomandazioni del Cts che escludono che i ristoranti siano luogo di contagio (prendendone in considerazione la riapertura serale a differenza dei bar) e ne renda finalmente possibile l’apertura anche cena in zona gialla”. Una misura che consentirebbe a quegli esercizi di recuperare fino all’80% del fatturato, tanto, infatti, incide la cena sul loro bilancio.
“ Siamo convinti – concludono da Filiera Italia – che questa sia davvero l’ultima chance per consentire ai tanti imprenditori che hanno investito in misure di sicurezza di non abbassare definitivamente le saracinesche dando il via a un effetto domino che coinvolgerà, come già abbiamo sperimentato in questi mesi, anche il settore agroalimentare che sarebbe così privato di un un canale di valorizzazione fondamentale per le sue eccellenze con danni inimmaginabili sia dal punto di vista del fatturato che dell’occupazione”.